Gentile ministro Cancellieri, per favore si dimetta. Ci creda, saremmo disposti a venirle incontro. Vorremmo dimetterci noi da cittadini, ma non possiamo. Vorremmo lasciarvi soli a governare su queste rovine, ma il problema è che non ci vogliono. Appena ci presentiamo, “sono italiano”, ci ridono in faccia per il bunga-bunga anche se l’unico festino a cui – ahinoi – siamo stati è quello dell’asilo dei nostri figli. Non ci vogliono perché pensano che siamo tutti raccomandati anche se nessuno ha mai fatto una telefonata per noi. Non dico un ministro, ma nemmeno un consigliere di circoscrizione, un amministratore condominiale. Nessuno. Le assicuro, vorremmo risparmiarle la fatica. Ce ne andremmo noi, se potessimo. Alla fine siete quasi riusciti a farci passare la voglia. Quasi. Perché la rabbia, l’indignazione sono un fuoco che si spegne se non brucia niente. Cambiare è un verbo che non si può coniugare solo al futuro. Vede, magari abbiamo passato la quarantina, siamo alla metà del cammino, come diceva quel signore cacciato da Firenze. E ci chiediamo se le strade, la nostra e quella dell’Italia, non debbano davvero separarsi. Vede, signor ministro, il fatto è che di vita ne abbiamo una sola e non sarebbe bello trovarsi alla fine ad aver affidato la nostra esistenza a un Paese che se l’è mangiata. Non possiamo rischiare che il futuro si trasformi in passato senza nemmeno un attimo di presente. Che la speranza d’un tratto diventi rimpianto.
Ci creda, signor Ministro, uno ci prova pure. Aspetta che dopo la Prima Repubblica ne nasca una nuova, ma poi guarda l’orologio e si accorge che sono passati vent’anni. Ieri era ragazzo, oggi è già un uomo e non è successo niente. Non sarebbe bello ritrovarsi pensionati – senza pensione e senza una liquidazione da 3,6 milioni di euro di Ligresti – a votare ancora con il Porcellum.
Vede, non è cattiva volontà, non è disfattismo: ma, come diceva Battiato, presto “le mamme imbiancano”. Oggi i genitori siamo noi e il tempo ci scappa tra le mani.
Ci creda, signor Ministro, ce l’abbiamo messa tutta per crederci: la mafia sarà sconfitta, la corruzione sarà condannata, l’evasione sarà cancellata, l’inquinamento sarà eliminato, la partitocrazia sarà superata, la raccomandazione sarà punita. Ce lo siamo ripetuto mille volte: la politica sarà rinnovata, il Sud sarà salvato, il merito sarà riconosciuto, lo Stato sarà giusto, l’ambiente sarà risanato, la sanità sarà risollevata, la scuola sarà riformata, la ricerca sarà finanziata, il governo sarà decente, l’Italia sarà nostra. Allora, signora Cancellieri, se ne va lei o ce ne andiamo noi? Non si può vivere parlando sempre al futuro. Bisogna poter usare i verbi anche al presente e al passato. Prima di essere passati noi.
Il Fatto Quotidiano 18.11.2013