Le anomalie di un disegno di legge e i prezzi per la provincia -L’inefficacia della normativa soprattutto per il razionale uso di una fondamentale risorsa naturale.
L’emanazione del disegno di legge sul <<Riordino del Servizio Idrico Integrato>> da parte della giunta regionale della Campania induce a considerazioni e riflessioni di carattere tecnico e amministrativo che evidenziano l’inefficacia della normativa, soprattutto per quanto attiene il razionale utilizzo di una risorsa naturale di notevolissima valenza ambientale quale è l’acqua. Per una corretta gestione delle fonti idriche necessariamente devono applicarsi i concetti di pianificazione e programmazione alla scala di bacino, come peraltro è sancito dalla legge 183 del 1989 sulla difesa del suolo. E’ importante, pertanto, definire il bilancio idrico complessivo tra il fabbisogno, i prelievi possibili e la risorsa idrica disponibile.. In particolare, diventa sempre più pressante l’esigenza di calibrare gli interventi in funzione della massima efficienza, in relazione alle limitate risorse economiche disponibili. L’acqua è certamente una risorsa rinnovabile la cui disponibilità è tuttavia soggetta a un insieme di variabili che sono sia in termini qualitativi che quantitativi. In alcune zone del territorio campano, la scarsità di acqua è associabile alle difficoltà se non addirittura all’impossibilità di usufruire di impianti e tecniche di captazione, adduzione e potabilizzazione. Il Piano regolatore degli acquedotti, approvato negli anni ’60 e sotto molti aspetti ancora vigente, rappresenta ancora oggi un valido strumento di pianificazione. Infatti, attribuiva le risorse idriche censite ai diversi centri di utilizzo, prevedendo risorse idriche al di fuori dei confini amministrativi non solo delle province ma anche degli stessi confini della Regione. Di conseguenza anche le reti fognarie e i comprensori dei grandi impianti di depurazione si sono sviluppati tenendo conto più dell’orografia del territorio e dei recapiti finali che dei confini amministrativi di comuni e province.
La normativa vigente affida alle Autorità di Bacino un compito centrale nella pianificazione e nella tutela sia qualitativa che quantitativa delle risorse idriche. Pianificazione che non è stata mai elaborata nel dettaglio per problemi economici. La legge Galli, che avrebbe dovuto rappresentare il punto di arrivo di un lungo percorso normativo, ha complessivamente trovato, nei circa venti anni dalla sua travagliata esistenza, modesta applicazione e sostanziale elusione delle sue finalità, tanto che è stata formalmente abolita dall’emanazione del decreto 152 del 2006, che tuttavia riprende quasi per intero la stessa legge. Questa normativa ha indubbiamente il grande merito di aver considerato il servizio di approvvigionamento, distribuzione, raccolta e trattamento delle acque reflue in un unico ciclo. Tuttavia ci sono gravissime carenze relative ai tempi di attuazione. La concreta applicazione di queste procedure non può che scaturire dalla conoscenza del sistema, almeno nelle sue componenti fisiche essenziali. Tale requisito, tanto scontato da sembrare addirittura pleonastico, è spesso disatteso in numerosi contesti, in particolare dell’Italia Meridionale, dove ad esempio aziende acquedottistiche, per non citare i soggetti gestori di Ato, si sono trovate a gestire impianti e infrastrutture la cui effettiva consistenza veniva tramandata per tradizione orale dai vecchi fontanieri. Ma la domanda, oramai ricorrente e che merita una risposta urgente, è se e quali Ato possano oggi, nelle condizioni attuali in cui si trovano, prendere in consegna e gestire compiutamente e adeguatamente tutte le grandi opere loro destinate dalla legge Galli e da quella regionale 14 del 1997: ovvero, se la Regione debba valutare la possibilità di costruire un apposito ente gestionale regionale che coordini alcune delle strutture di emungimento e adduzione primaria interAto, in stretta collaborazione con le stesse Autorità d’Ambito. Ma a questa problematica oggi, dopo i ritardi e il fallimento connesso alle difficoltà incontrate nell’applicazione della legge Galli 36 del 1994, devono aggiungersi i contrasti politici e campanilistici che costituiscono le cause principali responsabili degli impedimenti del definitivo decollo degli Ato. Con l’attuale delimitazione dei tre Ato, i bacini idrici sotterranei ricadono in diversi casi in due Ambiti Territoriali e, pertanto, sono sottoposti a due diverse panificazioni. In sostanza il governo degli acquiferi non va considerato – come prevede il disegno di legge – per aree geografiche accorpate con definizione dei limiti amministrati superficiali bensì considerando lo sviluppo in sotterraneo degli acquiferi. In caso contrario, inevitabili sarebbero le interferenze che inducono ad una non corretta utilizzazione della risorsa idrica. Si tratta di una nuova articolazione territoriale che comprende i Comuni di più provincie che si interessa della programmazione idrica e fognaria del territorio. La suddivisione del territorio campano in tre Ato determinerà che, in molti casi e per parti significative di popolazione, il ciclo integrato dell’acqua si chiude su due Ato contigui: ciò determinerà partite di dare-avere fra i gestori a causa del sistema di riscossione della tariffa, che, si ricorda, è calcolata sull’intero ciclo dell’acqua. Avverrà. Quindi, che il gestore che fornisce il servizio idrico riscuota la tariffa e debba trasferire le somme per la depurazione e lo smaltimento al gestore che vi provvede. Il ciclo dell’acqua che si chiude su due Ato diversi non risponde certo ai criteri di efficienza richiesti dalla vigente normativa perché richiede acquisti e vendite di servizi fra Ato con le immancabili diseconomie e conseguenze sul calcolo della tariffa. Gli Ato così delineati non possono intendersi tecnicamente ed economicamente ottimali. Notevoli, inoltre, sono le incongruenze derivanti dalla nuove articolazioni territoriali degli Ato. Ciò a causa del mancato riferimento alla distribuzione reale degli acquiferi sotterranei. A tal proposito eclatante è il caso del bacino imbrifero del Torrente Solofrana ove la nuova perimetrazione degli Ato accorpa i Comuni di Montoro Inferiore e di Montoro Superiore all’Ato 2 (Napoli) e disloca il Comune di Solofra, ricadente sul medesimo bacino imbrifero e acquifero all’Ato 1 (Avellino-Benevento-Caserta). Il legislatore, con tale palese anomalia, ha evidentemente voluto assegnare all’Ato in parte avellinese le serie incombenze di carattere ambientali derivanti dalla depurazione di un comprensorio altamente industrializzato quale è quello di Solofra.
Come pure lo stesso legislatore smembra le idrostrutture dei Monti Terminio-Tuoro e quella del Monte Cervialto, prima opportunamente accorpate in quanto le stesse presentano interscambi idrici sotterranei, mentre con nuova perimetrazione i due importanti gruppi sorgivi del Calore e del Sele vedranno all’opera due diverse regie che inevitabilmente comporteranno un non razionale sfruttamento della risorsa. In aggiunta, l’attuale e interconnesso sistema di adduzione che trae la sua alimentazione dai massicci montuosi, gestito dall’Acquedotto Pugliese, dovrà essere governato da due diversi Ato.
Sabino Aquino
Geologo
Il Mattino di Avellino 22.09.2013