del Colle, diventa giustizialista a sua insaputa: “Ma anche per la procura di Torino è innocente”.
Per Renzi è l’ammissione, ennesima, che la politica è subordinata alla magistratura. Ribatte: “Enrico ma che c’entra? La questione è politica, io non aspetto i giudici per avere una linea”. Ed è in queste
telefonate che matura l’esito del match. Renzi, che poi lo scriverà su Twitter, rilancia: “Caro Enrico allora mettici la faccia. Vai all’assemblea e spiega che questo è un voto di sfiducia contro di te. Fossi in te non lo farei, ma non vedo altre uscite”. Renzi chiede di poter partecipare all’assemblea, ma
si sente rispondere che non è deputato. Su un fronte, il premier che supera un altro scoglio
e richiude una falla che ha rischiato di far affondare tutto il governo, almeno secondo l’analisi del Colle. Sull’altro, Renzi si intesta la questione morale sulla ministra dei Ligresti e si piega solo di fronte ai numeri del gruppo a Montecitorio, in cui i renziani sono “appena” una cinquantina. Forza cospicua ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. Ma la lezione Cancellieri fa capire a Renzi quale sarà il principale problema nei prossimi mesi, quando guiderà il Pd da segretario con pieni poteri:l’interventismo di Napolitano, a tutto campo e ormai quotidiano, con telefonate a getto continuo. Si lascia scappare anche una battuta, il sindaco di Renzi, che dal Colle è già stato ripreso, in un passato recentissimo, su amnistia e legge elettorale: “Per me Napolitano può fare anche il presidente del Consiglio (qui la perfidia è rivolta soprattutto a Letta, ndr), ma il segretario del Pd sarò io”. La tregua tra Letta e Renzi per salvare governo e partito si percepisce a Montecitorio che non è ancora buio. La fine è nota. Dopo il caos e le minacce di lunedì, il Pd viene asfaltato ancora una volta dalla dittatura delle larghe intese di Re Giorgio. I renziani, per bocca di Paolo Gentiloni, ex ministro, promettono un ordine del giorno anti-Cancellieri. La mozione di sfiducia di Civati, invece, non sfonda. Il senso di marcia è chiaro. Se anche si dovesse votare, nell’assemblea, oggi tutti si uniformeranno alla linea maggioritaria di Letta e Bersani e Franceschini
e D’Alema: no alla sfiducia. Il premier arriva all’assemblea direttamente dalla Sardegna.
L’orario d’inizio viene posticipato, alle ventuno. È lui ad aprire la riunione. La salvezza
della Cancellieri è una questione politica: “Questo è un passaggio politico a tutto tondo.
Quello che viene chiesto è un voto di sfiducia al governo. Al Pd chiedo un atto di responsabilità”.
Il problema non sono le telefonate. Anzi: “La mozione è frutto di una campagna aggressiva molto forte e slegata dal merito. Vi chiedo di considerare la cosa per quello che è: un attacco politico al governo. Mi appello al senso di responsabilità collettivo che è parte di noi. La nostra condivisione
unitaria della responsabilità è il punto di tenuta del sistema politico”. La responsabilità
rimbalza di intervento in intervento. Parla Cuperlo. “La Cancellieri avrebbe fatto meglio a dimettersi però noi siamo responsabili”. Gentiloni, renziano, prende atto “con rammarico” e responsabilità. Perfino Civati, il movimentista filogrillino, si arrende nel segno della responsabilità: “Sono in disaccordo, ma mi atterrò alla linea”. Il Pd che ha affondato Prodi per il Quirinale si ritrova compatto per salvare la Cancellieri. Contrappasso da unità.di Fabrizio d’Esposito
Il Fatto Quotidiano 20.11.2013