
E’ in corso da decenni un’azione di riassetto demografico del territorio nazionale che prevedere un sostanziale depauperamento delle aree periferiche e montane a vantaggio delle zone di maggiore assembramento demografico presenti nelle aree costiere. Questa tendenza emerge in maniera inequivocabile dalla verifica e valutazione del flusso di finanziamenti e progetti di sviluppo, pubblici e privati, che si concentrano maggiormente in determinate aree del paese, a discapito di altre ritenute meno produttive. In un’epoca nella quale il peso specifico di un territorio si misura nel numero degli utenti/elettori/consumatori finali in esso presenti, e non più nelle potenzialità di sviluppo e crescita legate alle caratteristiche socio-economiche di un’area, le strategie legate all’approvvigionamento energetico sono inevitabilmente contrassegnate da logiche di natura “coloniale”. Nel passato, le grandi potenze economiche individuavano le aree di conquista in base ad una verifica delle potenzialità di sfruttamento delle risorse economiche presenti, adottando piani d’azione più o meno intensi, a seconda delle resistenze che le popolazioni locali potevano eventualmente dimostrare. Nel XXI secolo il colonialismo adotta metodi più subdoli ed apparentemente meno invasivi. Sotto la spinta demagogica di messaggi del tipo “Più ricchezza per tutti” oppure “Sviluppo compatibile e rispetto dell’Ambiente”, vaste aree dell’Appennino meridionale sono da anni soggette a piani di occupazione che prevedono una iniziale azione di impoverimento della struttura produttiva esistente ed una successiva fase di sfruttamento e controllo. Il nuovo colonialismo è finalizzato alla localizzazione di aree da gestire per lo smaltimento dei rifiuti, per la delocalizzazione di produzione pericolose o tossiche e per lo sfruttamento delle risorse naturali. Come per il passato la conquista avviene attraverso un ricatto, che non è quello delle armi o della violenza, ma è quello più subdolo del “RISTORO AMBIENTALE”. Come per gli indiani d’America nell’800, il rischio attuale per gli IRPINI o i SANNITI è quello di diventare abitanti di riserve protette, in mezzo a territori gestiti da altri.