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LETTA E IL PD INGOIANO IL ROSPO ANGELINO

Alfano_lettaIl premier sarà in aula venerdì al Senato per difendere l’operazione Kazakistan Tra i Democratici rientra la fronda di Renzi. Alla fine non voteranno la sfiducia.

 E il terzo giorno, il Partito democratico fece finta di svegliarsi dal sonno dell’inciucio sullo scandalo Shalabayeva. Il Rospo Alfano è davvero troppo duro da ingoiare. Soprattutto dopo la penosa informativa di martedì, letta dal ministro dell’Interno in Parlamento. Così il partito di Epifani vive un’altra giornata sulle montagne russe, anzi kazake, tenuto sotto scacco, come al solito, dal sindaco Firenze. Sono infatti i renziani i primi ad andare all’attacco del vicepremier titolare del Viminale. Tredici senatori che firmano una nota per chiedere le dimissioni di Alfano, “oggettivamente indifendibile” ma nel frattempo blindato dal Cavaliere in un colloquio apparso sul Corsera. La posizione dei renziani è sottile. La richiesta di dimissioni non è collegata alla mozione di sfiducia presentata da Sel e Movimento 5 Stelle e che si voterà domani a Palazzo Madama. Una differenza che appare strumentale. Rivela un senatore del Pd a microfoni spenti: “I renziani erano presenti alla riunione in cui è stato deciso l’intervento di Martini martedì al Senato e hanno detto di sì. Adesso si distinguono per fare gli alfieri dell’antiberlusconismo supportati da Repubblica. Ma la mozione non la voteranno”.
IN PRATICA , dopo la figuraccia del ministro nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, nel Pd parte il treno della moral suasion per convincere Alfano a un passo indietro, tenendosi però a una distanza di sicurezza dalla mozione vendolian-grillina. “Rimetta le deleghe al premier”, questo il refrain di molti. Una posizione su cui si assestano esponenti un tempo vicini a Massimo D’Alema, come Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd, e Anna Finocchiaro. Lo stesso D’Alema interviene: “Ad Alfano non è stato chiesto di uscire dal governo, ma di rimettere le deleghe per consentire un chiarimento perché la faccenda è grave”. Renziani e dalemiani si uniscono al gruppetto critico di Civati, Casson, Puppato e Orfini. Di qui la decisione di rinviare a oggi l’assemblea dei senatori democratici, prevista ieri alle tredici.
Da Londra il premier è costretto a difendere il suo vice: “Alfano è totalmente estraneo alla vicenda. Non vedo nubi all’orizzonte”. E domani, Letta sarà in aula al Senato per la sfiducia individuale al ministro, probabilmente a scrutinio segreto. Ovviamente il bollino rosso sulla giornata, mentre Epifani riunisce la segreteria, lo mettono le dichiarazioni di Renzi (che incassa pure un documento di venti parlamentari montiani di Scelta civica che “guardano a lui”).    La frase più forte di Renzi è questa: “Se molti dirigenti del Pd non vogliono che mi candidi, va bene. Se vogliono tenersi il partito, va bene. Se preferiscono perdere le elezioni pur di mantenere una poltrona, va bene. Ma non strumentalizzino una vicenda di cui come italiano mi vergogno”. E ancora: “Larga parte della classe dirigente del Pdl e del Pd usa questa vicenda per attaccare me. Se nel Pd lo fanno per regolare i conti tra le correnti del Pd, mi vergogno per il Pd”. Alfano viene liquidato così: “In aula è andato il ministro dell’Interno e ci andrà il presidente del Consiglio, che già qualche settimana fa ha chiesto a un ministro di farsi da parte. Se Letta non riesce a cambiare il Paese mi dispiace per lui ma non cerchi alibi”. La tregua tra i due, Renzi e Alfano, scatta però subito, complice una telefonata. Ammette il premier: “Io e Matteo ci parliamo continuamente”.IL CHIARIMENTO serve a raffreddare un po’ il clima e a consentire alla segreteria di ufficializzare la linea per salvare il ministro dell’Interno. Prevale la ragion di Stato dell’inciucio, perché toccare Alfano avrebbe comportato una crisi di governo. La realpolitik contro uno scandalo enorme. Dalla nota ufficiale del Pd: “Non potranno essere votate le mozioni delle opposizioni contro il governo, perché ne determinerebbero la caduta, mettendo il Paese in difficoltà in una fase delicatissima anche dal punto di vista dei mercati finanziari”. Ecco Epifani: “Il governo deve andare avanti ma serve chiarezza”. Ma la ferita del caso Ablyazov è destinata a rimanere aperta oltre lo scoglio di domani. La sofferenza da larghe intese e la battaglia congressuale contro Renzi porteranno a “un chiarimento interno” alla presenza del premier letta. Decisa la linea del no alla mozione, l’assemblea del gruppo Pd del Senato sarà comunque infuocata e tesissima. Uno sfogatoio a tutti i livelli. Contro la difesa di Alfano. Contro il gioco “strumentale” dei renziani”.Ma la novità di oggi sarà il discorso di Giorgio Napolitano in occasione della cerimonia del Ventaglio al Quirinale, prima della pausa estiva. Sinora, sulla vicenda kazaka, il capo dello Stato non ha detto una parola. Ieri ha fatto sapere di essere “preoccupato per gli errori fatti” nonché “stupito e indignato per l’imbarbarimento della vita politica”. Sarà la solita “sferzata” ai partiti.

di Fabrizio d’Esposito
Il Fatto Quotidiano 18.07.2013

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