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Poste-Più manager ma si tagliano duemila sportelli

Uffici Postali La minaccia doveva essere palpabile se dopo appena tre ore il gruppo Poste Italiane ha dovuto capitolare. 29 dicembre 2008, alla notizia dello smantellamento dello sportello nel proprio quartiere una trentina di arzilli settantenni si armano di apparecchi acustici, bollettini e curiosità di ogni genere per raggiungere l’ufficio di Pra, a 5 chilometri di distanza, a due autobus dalle loro case, il più vicino. Operazione “tartaruga”, un blitz senza precedenti che scatta alle 12 e 45, un quarto d’ora prima della chiusura .  Davanti allo sportello domande a oltranza, dettagliate e puntigliose, dai quindici ai venticinque minuti ciascuno. “No che non ho un figlio in Cina! Ma se ce lo avessi e volessi spedirgli centomila euro come dovrei fare? Cosa succede al mio conto postale in caso di morte? Che tassi praticate?”.  Risultato: paralisi. La minaccia viene subito intesa: quei pensionati potrebbero tornare ogni giorno a bloccare tutto.Così, nel primo pomeriggio un fax annuncia bandiera bianca: l’ufficio postale del quartiere Cep di Genova non sarà più chiuso. Carlo Besana, promotore dell’iniziativa, canta vittoria. Mai avrebbe pensato che quello sarebbe stato solo l’inizio. Nella pancia dell’Italia, tra province e quartieri isolati, sono mesi che continuano a scoppiare battaglie isolate per salvaguardare l’ultimo baluardo delle comunità dopo la chiesa e il comune: l’ufficio postale.   A metà dello scorso anno, l’Agcom si è fatta sfuggire il piano che prevede la chiusura o riduzione di orari per quasi duemila sportelli nelle zone più isolate.   L’amministratore delegato di Poste Italiane, Massimo Sarmi, ha subito cercato di minimizzare: “Quel report è solo una lista di sportelli sotto i parametri di economicità”.    MA I CITTADINI non ci hanno creduto, e in effetti in tabella si legge a chiare lettere il nome di 1.156 paesi e sotto la colonna “Intervento previsto” la parola “chiusura”.  Dove è difficile per il Gruppo Poste Italiane far arrivare i servizi è altrettanto difficile per i cittadini spostarsi per recuperare raccomandate.  Sulla cronaca locale è un bollettino di guerra: corteo in centro a Firenze, raccolte di firme in diverse province toscane, blocchi stradali nelle Marche, sequestri degli uffici postali compiuti da sindaci con tanto di nastro tricolore a sigillo degli ingressi dalla provincia di Siena alle Madonie in Sicilia. In Campania è un ricorso al Tar a bloccare la chiusura di 20 sportelli salernitani. Mentre in Basilicata è sciopero del voto, due contrade del potentino dissertano le urne. Poi, le interrogazioni parlamentari: ogni provincia ha un suo deputato o senatore di riferimento che rischia i consensi. Decine le interrogazioni di ogni partito, tutte rivolte a Corrado Passera, ministro ed ex amministratore delle Poste.  É stata la bacchetta magica di Passera ad avviare le Poste alla filosofia di utili e tagli, sua la sforbiciata di oltre 20mila dipendenti. La società diventa capogruppo di altre tredici, ciascuna delle quali può partecipare ad altre imprese e consorzi. Da qui il miracolo della crescita degli utili. Ogni società ha un bilancio con propri risultati di gestione che per la capogruppo si traducono in un vistoso miliardo di euro di utili all’anno. L’altra moltiplicazione miracolosa è quella delle poltrone: 13 società con 13 consigli di amministrazione, 13 presidenti e 13 amministratori delegati. E premi di produzione che crescono quando crescono gli utili o quando vengono abbattuti i costi. Come quelli degli sportelli “sotto i parametri di economicità”.

di Filippo Barone
Il Fatto Quotidiano 08.04.2013

 

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