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In Irpinia-Perforazioni: “bomba” innescata in zona sismica

PerforazioniNon sono mai contenti i rapinatori del Sud. Prima ci hanno rubato le braccia, la nostra carne finita all’estero nei macelli alla Marcinelle, poi i cervelli dei nostri giovani costretti ad andar via, e poi ancora l’aria con le pale eoliche, e adesso vogliono fotterci pure quello che c’è sotto la terra”. Quando chiediamo a Franco Arminio, scrittore e voce dolente del Sud interno, cosa ne pensa dell’idea di trasformare le terre della sua Irpinia d’Oriente nel Kuwait italiano, butta all’aria i fogli con le bozze del suo ultimo libro (Geografia commossa dell’Italia interna, editore Bruno Mondadori) e sbotta. “Ma questa fetenzia di Stato italiano quando si deciderà a fare un piano di sviluppo serio, moderno e avanzato per le nostre terre? Qui c’è l’aria migliore, l’acqua più limpida, qui si può sperimentare una crescita giusta con energie alternative che portino ricchezze alle popolazioni locali e non alle multinazionali del vento”. La risposta è mai. Lo Stato italiano, dopo anni di egoismo leghista, di berlusconismo arruffone e con una sinistra incapace di coniugare in termini nuovi l’antica “Questione meridionale”, lascia campo aperto alle sette sorelle del Duemila. Le compagnie petrolifere pronte a divorare sottosuolo, acqua e salute della gente del sud interno. Ai politici locali tocca la parte di sempre: quella dei balbettanti ascari.

ED ECCO ALLORA che in Irpinia, spunta il totem del petrolio: 46 comuni coinvolti tra le province di Avellino e Benevento, 700 km quadrati da perforare. È il progetto “Nusco”, elaborato dalla Italmin Exploration, una società romana con capitale sociale di 130mila euro, due soci, Mario Panebianco e Lonsdale Barry James, e ottimi legami con la multinazionale petrolifera Northen Petroleum, poi passato alla Cogeid di Roma, titolare di sei permessi di perforazione in Italia e interessi in Kuwait, Ucraina, Russia e Oman. Tutte le carte a posto fin dal 2002, quelle del ministero e i permessi della Regione, firmati anche dall’allora vicepresidente, ora deputato Udc, Giuseppe De Mita. Cognome pesante a Nusco e in tutta l’Irpinia. Valutazione impatto ambientale, rischio sismicità, tutto ok, fino a quando non interviene la gente del posto. Che si organizza nel Comitato no petrolio in Alta Irpinia e costringe anche la Regione a fermarsi. “Il nostro no alle perforazioni non è ideologico, abbiamo sentito il parere di scienziati di livello internazionale, poi ci siamo mobilitati”, ci dice Eduard Natale, 26 anni, futuro ingegnere informatico. Con gli altri ragazzi e gli adulti del Comitato è uno dei Davide contro il Golia dell’oro nero. Hanno chiamato un geologo di fama come Franco Ortolani per chiedere aiuto e il professore si è messo le mani nei capelli. “Sono pazzi, l’area interessata dal permesso Nusco è stata l’epicentro dei sismi più distruttivi degli ultimi 400 anni. Nel sottosuolo ci sono faglie attive sismogenetiche e la scienza non ne conosce l’ubicazione né la geografia. Non si può prevedere se le perforazioni profonde e le conseguenti attività estrattive possono intercettare le faglie”. Quando la gente dell’Irpinia (ultimo terremoto nel 1980, 3mila morti), ha ascoltato queste parole, ha cominciato a capire. Arriva il petrolio, ma non porta ricchezza. Come nella vicina Basilicata, dove si estrae il 7% del fabbisogno petrolifero nazionale con guadagni enormi per le multinazionali ma la regione resta sempre la più povera d’Italia. “L’industria petrolifera – dice ancora il professor Ortolani – ha bisogno di molto spazio da inquinare, ma è una industria molto potente che mobilita cifre enormi e acquisisce facilmente pareri in tutti i modi, sia di ordine tecnico che amministrativo”. Altro che oro nero, “il petrolio che si estrae in Italia – scrive la blogger Maria Rita D’Orsogna – è pieno di impurità sulfuree che vanno eliminate il più vicino possibile ai punti di estrazione”.

UN PERICOLO, dice alla gente d’Irpinia il professor Antonio Marfella, oncologo di Medici per Trivelle e terremotil’ambiente. “Voi siete il serbatoio idrico di mezzo Sud, quando si tocca un territorio dove c’è l’acqua è finita, fare la scelta del petrolio significa andare fuori dalla storia”. Convegno dopo convegno, analisi e studi pubblicati sui siti internet, le delibere che il Comitato ha preparato per i sindaci, alla fine tanti comuni stanno dicendo stop ai pozzi di petrolio. “Una truffa antica – ci racconta Giovanni Marino, ricercatore dell’Archivio storico Cgil – qui già negli anni Cinquanta provarono ad estrarre petrolio”. Marino ci mostra le foto in bianco e nero del sindaco dell’epoca con in mano una bottiglia piena di liquido scuro e il volto sorridente . Poi l’inganno, come i tanti fatti sulla pelle di queste terre, finì. “Il petrolio è un totem – commenta l’antropologo lucano Enzo Allegro – un oggetto ambivalente, desiderato ma anche temuto. Si sogna la ricchezza, ma si teme la catastrofe”.

di Enrico Fierro
Il Fatto Quotidiano 08.04.2013

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