IL PDL VUOLE UNA ROAD MAP PER SALVARE IL SUO LEADER PRIMA DEL 9 SETTEMBRE SCENDONO IN CAMPO I COSTITUZIONALISTI CHE HANNO DUBBI SULLA “DECADENZA”.
ANCHE RENATO Schifani, di passaggio al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, in avanscoperta tra le linee inciuciste, mette a punto, all’ora di pranzo, il suo sabotaggio delle larghe intese: “Da Napolitano ci aspettavamo di più. Sulla legge elettorale non ci sono margini di avvicinamento tra Pdl e Pd”. “Per noi tutto si tiene: se ci sarà una chiusura pregiudiziale del Pd sul percorso di approfondimento sulla legge Severino che chiediamo, per noi sarebbe impossibile parlare di un percorso comune”, getta lì mentre esce dal covo ciellino. L’ufficiale di complemento, Fabrizio Cicchitto, entra nella metafora militaresca: “Se dovesse prevalere la linea di chi ha già schierato il plotone d’esecuzione, ci sarebbero conseguenze molto negative per la maggioranza e la sopravvivenza del governo”. Anche lui, però, da sempre inserito nello stormo delle colombe, lancia un colpo contro il Colle: “Per il sottoscritto il presidente Napolitano rimane una scelta migliore di quella di Prodi, ma egli deve ulteriormente misurarsi con la estrema gravità della situazione”.Il Pd è schierato dentro la propria trincea, che è quella della legge Severino che fa decadere dalle assemblee elettive chi sia stato condannato in via definitiva a una pena superiore a due anni e un giorno. È un provvedimento votato meno di un anno fa dalla medesima maggioranza che ora regge il governo Letta. LA BATTAGLIA VOLGE al peggio per le truppe pidielline, ma da una ridotta ecco arrivare in avanscoperta alcuni costituzionalisti. Sul Corriere della Sera Michele Ainis rivendica il diritto all’immunità parlamentare in nome di una pacificazione tra magistratura e politica. Sul medesimo giornale il presidente emerito della Consulta Piero Alberto Capotosti, limando una propria precedente considerazione in merito, ritiene che sulla legge Severino “ci siano problemi interpretativi, perché non ci sono precedenti”. I precedenti, infatti, riguardano per adesso un manipolo di incandidabili , vale a dire che nessuno è “decaduto” dalla carica che ricopriva. Il primo sarebbe proprio Berlusconi.
Non solo. Capotosti afferma anche che il Senato non debba prendere la sentenza passata in giudicato e agire di conseguenza, quanto decidere in autonomia: “Il Parlamento è sovrano sulla materia dei parlamentari in carica. Per assurdo potrebbe anche decidere che al Senato ci siano soggetti ineleggibili o in-candidabili”.
Il costituzionalista non si spinge più in là, ma l’unica salvezza a breve termine di Berlusconi passa da un voto d’aula favorevole alla sua permanenza in Senato. E qui la partita si fa complicata e la “soluzione politica ” si allontana. Per questo, nella milizia parlamentare berlusconiana, si tirano colpi di cannoni verso il Quirinale. Ma il presidente della Repubblica ha già chiarito urbi et orbi nella nota che precedeva Ferragosto, quali sono i confini dentro cui si può muovere. Quei confini non bastano al Pdl e a Berlusconi, che adesso vorrebbe dal Colle (e dal Pd), una road-map per uscire dal-l’angolo. Silvio Berlusconi non vuole uscire di scena come Bettino Craxi, latitante in Tunisia, e tantomeno con il garbo di Arnaldo Forlani (esempio caro al Colle). Vuole delle garanzie. E le vuole adesso. Prima del 9 settembre. Prima della Giunta. Prima che faccia cadere il governo, sul quale non ha grande interesse.
Il Fatto Quotidiano 20.08.2013