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Il bugiardo sincero

renzi_2“Per autocelebrare il primo biennio dell’Era Renzista, il presidente del Consiglio sta infestando l’Italia di maximanifesti sui mirabolanti successi del suo governo. Fece così anche il suo padre putativo Silvio B. nell’estate ’94, dopo appena tre mesi da premier. Il suo slogan era “Fatto!”, quello del suo figliastro è “Era un impegno, ora è realtà”. Gli autospot berlusconiani erano pagati dagli italiani attraverso le casse di Palazzo Chigi. Gli autospot renziani sono pagati dagli italiani attraverso i fondi pubblici dei gruppi parlamentari. Soldi dei contribuenti usati per sparare balle a raffica e cifre a casaccio (vedi pagg. 2-3) in vista delle elezioni: una commistione fra attività di governo e propaganda di partito che rivela una concezione proprietaria delle istituzioni da far paura, almeno a chi non ha ancora portato il cervello all’ammasso.”

“Nel 2001, poco prima di lasciarci, Indro Montanelli definì B. “il bugiardo più sincero che ci sia: è il primo a credere alle proprie menzogne. Quando piange, alcuni pensano che le sue siano lacrime di coccodrillo: niente affatto, sono lacrime vere. È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore”. Un ritratto che, di primo acchito, calza a pennello anche su Renzi. Il quale non ha certo cominciato a mentire due anni fa, quando entrò a Palazzo Chigi: si allenava fin da piccolo. I compagni di scuola e di scout lo chiamavano “il Bomba” per la sua straordinaria inclinazione a spararle grosse. E tale è rimasto, con qualche peggioramento col passare degli anni. Ieri però, in un’intervista al nostro passaggiosito, il professor Luca Ricolfi ha messo in dubbio che Renzi creda davvero alle proprie sparate. La sua lettura è, se possibile, ancor più inquietante: “Renzi sembra non comprendere il significato delle statistiche di cui parla”. Per esempio dei dati sul lavoro e sui presunti effetti balsamici del Jobs Act. Recita il manifesto autocelebrativo: “+764.000 contratti a tempo indeterminato col Jobs Act. Era un impegno, ora è realtà”. Quattro balle in due righe.”

1) La cifra “+764.000”: i nuovi contratti a tempo indeterminato nel 2015 – dati Inps – sono in gran parte trasformazioni di vecchi contratti e corrispondono – dati Istat – a 135mila nuovi posti fissi. Gli occupati nel 2015 sono +110mila, contro il +168mila del 2014, quando c’era la recessione e non c’era il Jobs Act.

2) Il “tempo indeterminato”, senza art.18, è divenuto a “tutele crescenti”, soave espressione per celare la licenza al padrone di licenziare chi e quando gli pare.

3) Il Jobs Act c’entra poco o nulla: semmai il movente dei nuovi contratti sono i 12 miliardi regalati in 3 anni alle imprese in cambio di assunzioni che, incassato il bonus, possono diventare licenziamenti con qualsiasi pretesto.

4) L’“impegno” che diventa “realtà”: Renzi non ha preso alcun impegno con gli elettori, non essendosi mai candidato a premier; l’impegno del Pd con gli elettori era la difesa, non il massacro dell’art. 18 (impegno del Pdl); le uniche promesse sull’occupazione le fecero il premier e il ministro del Lavoro. Il 20.2.2015 Renzi twittò: “Il Jobs Act rottama i co.co.co, i co.co.pro vari e scrosta le rendite di posizione dei soliti noti”. E il 31.3 Poletti annunciò “fino a un milione di nuove assunzioni” in un anno. Ora la montagna ha partorito il topolino: 12 miliardi buttati per ingrassare i soliti noti di Confindustria in cambio di appena 135mila nuovi posti fissi (si fa per dire) e di un boom di contratti precari e di voucher da lavoro a ore: nel 2015 i contratti precari han toccato il massimo storico del 14%, grazie al decreto Poletti 2014 che liberalizza le assunzioni a termine (l’esatto contrario dell’obiettivo dichiarato nel Jobs Act).

Tornando a bomba, anzi al Bomba, resta sospesa la domanda: Renzi queste cose le sa, ma le nega perché è una marionetta delle lobby e non vuole ammettere il suo fallimento; oppure non sa letteralmente quello che fa e poi ribalta la realtà perché non la conosce o non la capisce? La domanda vale anche per l’annuncio della Salerno-Reggio Calabria, che ieri ha fatto sbudellare la stampa estera. E per la guerra al “rigore” europeo e al governo Monti, troppo ossequiente alla Ue e alla Merkel. Ma fu proprio Renzi, il 26.10.2011, a plaudire alla lettera della Bce, madre di tutte le austerity e Bibbia del governo Monti: “Mi ritrovo nella lettera Bce. E non condivido l’atteggiamento del Pd che invoca l’Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode. Rabbrividisco a sentire certe posizioni contro la lettera Bce di chi non prenderebbe voti nemmeno nel suo condominio”. E l’11.8.2014 indicò la Germania della Merkel come “il nostro modello”.


Il che fa temere, come già per B., la sindrome che gli psichiatri chiamano “proiezione”: attribuire agli altri i propri comportamenti. Poi però uno lo sente parlare, come ieri, della “legge elettorale attesa da 20 anni” e di quella “costituzionale attesa da 70 anni” e torna a dare ragione a Ricolfi. Il Porcellum è del dicembre 2005, quindi la riforma elettorale era attesa da 10 anni, non da 20. E la Costituzione ha 68 anni (è del 1° gennaio 1948): altamente improbabile che si volesse modificarla già nel 1946, due anni prima che entrasse in vigore.
Quindi la scelta è fra due alternative non proprio avvincenti: siamo governati da un competente in malafede, oppure da un incompetente in buona fede? In entrambi i casi, passano gli anni e le generazioni, ma vale sempre il vecchio adagio di Montanelli: “Dei politici italiani, per quanti sforzi si facciano, non si riesce mai a pensare abbastanza male”.

 

Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 23.02.2016

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