Dopo che Renzi, per mesi, ha urlato al mondo dati palesemente falsi sull’occupazione, oggi i “renzini” si fanno belli davanti alle rilevazioni Istat sul dicembre 2014.
L’Istituto di statistica fotografa un dicembre positivo se paragonato ai mesi precedenti e all’anno in corso. Aumenta lievemente l’occupazione rispetto a novembre (+0,4%, ovvero +93 mila unità) e anche la disoccupazione segna una flessione sul mese precedente (-3,2%, pari a -109 mila disoccupati), ma il saldo annuale rimane preoccupante (+2,9%, pari a +95 mila disoccupati). C’è da dire poi che a “truccare” i dati di dicembre contribuisce l’aumento degli inattivi, coloro che pur essendo in età lavorativa non cercano più lavoro (+0,2% su novembre, pari a +28 mila unità, e +1,9% su base annua).
Se aumentano gli inattivi diminuisce la disoccupazione ufficiale, che tiene conto solo di chi è alla ricerca di un impiego, ma questo non significa che il mondo del lavoro sia in ripresa. Si tratta, purtroppo, di un artificio contabile.
È interessante notare che quando i dati sul lavoro sono negativi (praticamente sempre) i “renzini” tengano a precisare che il Jobs Act deve ancora entrare in vigore e che gli imprenditori stanno rinviando le assunzioni in attesa del nuovo contratto a tutele crescenti, mentre quando sono positivi urlino ai magici effetti dello stesso Jobs Act. Peccato che quest’ultimo non sia ancora a regime, perché mancano ad oggi i decreti attuativi.
Al netto di queste correzioni, si assiste ad una piccola ripresa nel mese di dicembre. Ovviamente un dato non basta a fare una tendenza, come spiega l’economista Mario Seminerio, ma è interessante capire il perché di questo minimo segnale positivo. È merito di Renzi, del suo rivoluzionario Jobs Act e del suo inguaribile ottimismo? No di certo.
Come qualunque cittadino avveduto ha già intuito, ci sono stati in questi mesialcuni cambiamenti macro che hanno sostenuto le pallidissime economie dell’eurozona.
Innanzitutto la graduale svalutazione dell’euro rispetto al dollaro e alle altre valute internazionali.
Contribuisce all’indebolimento dell’euro sui mercati anche il recente annuncio del Quantitative Easing (QE) di Draghi. Più di 1000 miliardi in arrivo nelle riserve delle banche commerciali dell’eurozona attraverso l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario. Nulla di buono per i cittadini europei, ma i mercati, si sa, sono più attenti ai guadagni speculativi e la diminuzione dei tassi di interesse europei sposta i capitali in altri continenti, svalutando l’euro. Un euro debole favorisce le esportazioni europee. In questo modo domanda e occupazione distrutte proprio dall’euro e dall’austerità possono almeno tirare il fiato.
Infine il crollo del prezzo del petrolio che va a tutto beneficio dei Paesi importatori di energia, come l’Italia.
Una congiuntura fortunata e passeggera non può essere una buona notizia per un’economia distrutta e non è merito di un Governo vicino all’alta finanza e agli interessi esteri se i dati su occupazione e disoccupazione migliorano lievemente.
Non ci sarà un seguito a questa breve abbuffata di ottimismo istituzionale. La disoccupazione italiana è tragica già solo nel dato ufficiale (12,9%), ma non tiene conto degli inattivi. Secondo alcune stime i disoccupati totali non sono 3 milioni e 322 mila ma quasi 6 milioni. Alla faccia dell’ottimismo, dobbiamo tornare ad una politica economica e industriale, fuori dall’euro!
Scritto da