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Le falde di Terminio e Cervialto sotto la minaccia di fanghi e fluidi

La ricerca e l’esplorazione del suolo provocherebbe un impatto devastante sul complesso sistema idrico irpino.

Le acque sotterranee e superficiali dell’Irpinia, costituiscono la maggiore ricchezza del territorio e il principale serbatoio idrico naturale dell’intero Mezzogiorno. Basta citare il nome Irpinia per rievocare le ingenti fonti idriche di Caposele, di Cassano Irpino e di Serino, da cui traggono alimentazione i più importanti acquedotti del Meridione d’Italia. Eppure, le popolazioni irpine stanno vivendo l’alternarsi di fenomeni di siccità e di concentrazione delle piogge, che insieme mettono in forse la certezza della disponibilità d’acqua ed espongono al rischio ricorrente di frane e alluvioni. Uno dei maggiori motivi di preoccupazione degli enti gestori di acquedotti è il pericolo di depauperamento delle risorse idriche, che può avvenire per cause naturali o per cause antropiche. L’acqua, da abbondante ricchezza, è diventata un problema non più rinviabile anche in Irpinia. Alle molteplici minacce alle risorse idriche se ne è aggiunta una ulteriore: la ricerca petrolifera con esplorazione del suolo attraverso trivellazioni profonde. Per meglio delineare l’impatto che le attività di estrazione petrolifera possono avere sull’ambiente e sulle risorse idriche è necessario precisare che il suolo e le acque sotterranee formano un sistema di estrema complessità, soprattutto a causa dell’eterogeneità della struttura del sottosuolo, dovuta sia alla naturale presenza e sovrapposizione di complesse e diverse formazioni geologiche, sia alle modificazioni derivanti da insediamenti umani agricoli, civili o industriali. Questa complessità si riflette nel comportamento e nell’evoluzione di una contaminazione del suolo, che determinano, a loro volta, l’impatto reale sull’ambiente. Tra le molteplici vie che possono essere seguite da un contaminante rilasciato nel suolo, la più rilevante è senza dubbio quella che lo porta alla falda acquifera, sia per il valore che ha in sé la falda come risorsa idrica, sia perché una falda mobile può propagare l’inquinamento a grandi distanze. L’estrazione di petroli e di gas rappresenta un serio rischio per le acque sotterranee a causa delle tecniche stesse di ricerca e sviluppo e delle notevoli quantità di sostanze ad alto potenziale inquinante che vengono movimentate. Tali sostanze includono, ovviamente, gli idrocarburi fluidi movimentati, le acque salate connesse ai giacimenti, i fanghi di perforazione, le acque immesse in profondità a scopo di migliorare il recupero del petrolio e/o allo scopo di contrastare la subsidenza indotta per decompressione dei giacimenti. Le indagini già effettuate a partire dagli anni ’60 hanno evidenziato che nel comprensorio irpino i giacimenti di gas naturali e di petrolio risultano molto profondi. Ciò comporta che sia in fase di trivellazione per indagini ma anche per la realizzazione del pozzo petrolifero si deve necessariamente utilizzare notevoli quantitativi di fanghi e fluidi perforanti con sicuri travasi nelle falde idriche che alimentano i pregiati e cospicui gruppi sorgivi emergenti dal Monte Terminio-Tuoro e dal Monte Cervialto che si ergono nell’area  sottoposta a ricerca di idrocarburi e che accolgono nelle loro viscere acquiferi con potenzialità idrica di oltre 10mila litri al secondo in media annua, utilizzati per l’approvvigionamento idrico di oltre tre milioni di persone. A ciò  va anche aggiunto che una volta individuato il serbatoio petrolifero sotterraneo per tirare fuori dai giacimenti il greggio, gli operatori iniettano nel suolo con notevoli pressioni liquidi contenenti acqua mista a sostanze chimiche. La pressione fa risalire il petrolio in superficie, mentre il liquido riempie l’area sottostante. Le rocce presenti in sito non essendo completamente impermeabili lasciano filtrare parte del liquido che penetra così negli acquiferi (utilizzati a scopo idropotabile) profondi pregiudicandone seriamente la originaria purezza nonché le caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche. Va anche evidenziato che alle situazioni connesse con la fase di ricerca e sfruttamento dei giacimenti di oli e gas, altre e forse più pesanti se ne aggiungono quando i giacimenti, oramai esauriti, e i pozzi che li sfruttavano vengono abbandonati. In certe aree, i pozzi petroliferi abbandonati, compresi quelli effettuati per la ricerca di idrocarburi, hanno causato seri inquinamenti delle acque sotterranee. Essi in genere attraversano più acquiferi e pertanto costituiscono dei veri e propri connettori degli agenti inquinanti. Le acque salate associate ai giacimenti o reimmesse, acque inquinate provenienti dalla superficie, residui di idrocarburi lisciviati vanno ad inquinare le acque sotterranee di buona qualità connesse. Il rischio inquinamento per gli acquiferi irpini non è rappresentato solo dalle trivellazioni per ricerca e captazione dell’idrocarburo ma anche dalle infrastrutture che dovranno realizzarsi successivamente alla individuazione dei petroli per il trasporto dello stesso alle raffinerie. Le condutture e i sistemi di condotte che sono utilizzate per trasportare i prodotti petroliferi e i gas naturali sono i più soggetti a perdite, nonostante tutti gli accorgimenti che vengono impiegati nella loro progettazione e realizzazione. Queste infrastrutture di collegamento hanno sviluppi di centinaia di chilometri, impegnano situazioni topografiche, idrografiche e idrogeologhe  anche molto diverse costituendo ovunque un elemento di notevole pericolosità potenziale. La loro posa in opera nel sottosuolo comporta sempre una scarificazione notevole del terreno in sito e la realizzazione di trincee profonde nell’insaturo e, abbastanza spesso, nella zona satura dell’acquifero. Le perdite causate da deterioramento (corrosione), dalla rottura o da cedimento di tali tubazioni provocano la fuoriuscita dei liquidi, spesso altamente inquinanti, e conseguente inquinamento delle acque sotterranee soggiacenti. Altre cause di perdite nelle tubazioni sono le saldature, difettose, sovrapressioni incidentali, dal traffico pesante, frane e sprofondamenti. Senza poi trascurare le vibrazioni indotte al suolo dai terremoti in aree come quella irpina classificata a elevata sismicità.

Sabino Aquino
Geologo
Il Mattino 03.02.2013

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