“Come si sa, questo è un Paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola.
Ed anche oggi le cose stanno andando così. A rendercelo noto sono state soprattutto le articolesse domenicali di Eugenio Scalfari su Repubblica, ma, dopo, non è stato difficile scorgere qui e lì i segni del clima mutato. Da giugno, si sono infittiti i segni di una crescente insofferenza dei poteri forti e semi-forti verso Renzi: le bordare del gruppo Espresso-Repubblica, la sparata di Della Valle, i mugugni confindustriali, le denunce di Confcommercio, i rilievi di Cottarelli, la freddezza del “Corriere” e del “Sole 24 ore”… E’ stato come se il travolgente successo alle europee, non solo non consacrasse la leadership di Renzi, ma quasi la indebolisse: arginato il M5s, Renzi non serve più.
E il preannuncio del licenziamento è arrivato con la bacchettata di Draghi che ha detto papale papale “caro Renzi, non mi incanti con la riforma del Senato, sono altre le riforme che devi fare” e, il sottinteso, neanche tanto dissimulato, era “altrimenti togliti di mezzo”. Renzi prima si è messo sull’attenti (“D’accordo al 100%”) poi, visto che la cosa non commuoveva nessuno, sta abbozzando un goffo tentativo di resistenza (“Non decide la Bce!”). Povero illuso, non si rende conto di avere pochissime frecce al suo arco e di avere troppi avversari: gli americani lo detestano per le sue aperture a Putin, la Merkel non lo digerisce, la Buba gli darebbe fuoco, la finanza che sogna di avventarsi sul peculio berlusconiano non gli perdona il tentativo di salvare il Cavaliere, adesso ci si mette anche Draghi…
Di fronte all’arroganza di Draghi, ad uno verrebbe voglia di fare il tifo per Renzi, poi lo guarda in faccia e cambia idea.
Renzi pensava di affascinare l’Europa con la sua riforma del Senato: non se l’è bevuta nessuno. All’ “Europa” del Senato non gliene può fregare di meno, invece interessa la precarizzazione totale del lavoro in Italia, arraffare quel po’ che ancora ha un valore (Eni, Cdp, Telecom, forse qualche pezzetto di Finmeccanica) e che gli italiani si spremano sino all’ultima goccia di sangue, diano fondo ai risparmi e si vendano casa per pagare gli interessi sul debito pubblico e, se possibile, ne restituiscano una parte attraverso il fiscal compact. Il resto sono solo chiacchiere.
Il punto centrale è la situazione insostenibile del debito italiano, che si è mantenuto in bilico per questi due anni di bonaccia dei mercati finanziari, ma ora la tregua sta finendo ed i conti li ha fatti Zingales sul “Sole 24 ore” del 27 luglio scorso (quando ancora si sperava in un tasso di crescita allo 0,3% e non al -0,2%, come poi è stato) : “Con un tasso di interesse reale al 3,6% ed un tasso di crescita allo 0,3%, abbiamo bisogno di un avanzo primario del 4,5% solo per non far crescere il rapporto debito Pil… Oggi il surplus primario è solo al 2,6%. Questi semplici calcoli ci dicono non solo che non saremo mai in grado di soddisfare il fiscal compact, ma anche che la situazione del nostro debito pubblico è insostenibile a meno di una significativa ripresa dell’inflazione”. E, infatti, l’inflazione è sempre stata il maggiore alleato dei paesi debitori, ma questo presuppone la sovranità monetaria del debitore, cosa che l’Euro ci ha tolto. Il problema è che, mentre gli italiani hanno capitalizzato i loro risparmi in beni reali (essenzialmente immobili), i tedeschi li hanno impiegati per l’acquisto di titoli finanziari prevalentemente in Euro. Per cui, un’inflazione al 3% sarebbe una grande boccata di ossigeno per i paesi indebitati come Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ma, alle orecchie dei tedeschi, suonerebbe come una tassa patrimoniale di pari importo sui titoli. E siccome la moneta comune non è mai la “moneta di tutti”, ma sempre e solo del più forte, questo non si può fare. Per i tedeschi la soluzione sta nella spoliazione dei paesi debitori, del loro patrimonio pubblico (aziende, immobili, riserva aurea, Cdp ecc.) e di quello privato (risparmi, proprietà immobiliari e, fosse per loro, anche vendita dei figli al mercato degli schiavi). Per fare questo, occorre azionare con la massima decisione la leva fiscale (ovviamente al rialzo) e svendere subito il patrimonio pubblico, entrambe cose che Monti aveva iniziato a fare con grande sollievo della platea “europea” (e sapete cosa intendo per “Europa”). Ovviamente, dopo una cura del genere un paese entra in una fase di estrema decadenza economica per interi decenni, ma questo non interessa all’”Europa”. Per i tedeschi, i partner europei sono solo sgabelli su cui arrampicarsi per reggere la sfida della globalizzazione.
Renzi non sta dando le risposte attese e si sta limitando a giocare al “piccolo leader”, cosa sommamente irritante. Per la verità, l’“Europa” non ha soluzioni politiche di ricambio: la destra berlusconiana l’ha già cacciata una volta ed è decotta, il centro non esiste e nel Pd non c’è nessuno che possa dare il cambio al fiorentino. Ed allora che si fa? Si commissaria l’Italia. Si fa governare il paese dalla troika (Ue-Fmi-Commissione Europea).
Ma, mi si dirà, la troika interviene solo su richiesta dei paesi che sono a rischio default. Certo, ma dove è il problema? L’Italia richiederà l’intervento della Troika. Non vuole farlo? Allora si procederà con un nuovo “assedio dello spread”: quando, come nel novembre 2011 (quando c’era da cacciare Berlusconi) lo spread risalirà oltre i 500-600 punti, gli italiani, soprattutto grazie al loro ineffabile Capo dello Stato, faranno quello che devono fare e si troverà il Monti di turno che faccia il lacchè della troika.
A preparare il terreno ci sta già pensando Scalfari (che non è una voce qualsiasi ma LA voce di “Repubblica”) che ha già scritto che sarebbe tanto meglio se il paese fosse governato dalla troika, tanto più che ora essa non sarebbe più l’arcigna custode dell’austerità, ma si sarebbe convertita ad una linea espansionista. Una frase buttata là, quasi come uno sfogo irrealizzabile, una boutade. E, invece, è esattamente quello che si sta preparando e a cui Scalfari sta spianando la strada, con la ben nota tecnica “repubblicana” delle idee insinuate prima che enunciate.
E Renzi cosa può fare? Il “bersagliere del nulla” ha solo due scelte davanti: o fa quello che la Bce gli dice, alla lettera e senza capricci, oppure fa saltare il tavolo. Cosa intendo per “far saltare il tavolo”? Giocare la carta del “ricatto del debitore”: “io vado in default, ma dietro di me se ne vengono molti altri, comprese le banche tedesche: poi l’Euro salta e siamo tutti seduti per terra; oppure ristrutturiamo il debito senza ricatti, iniziamo a negoziare una uscita dall’Euro, rivediamo tutti i patti.”
La forza negoziale dell’Italia sta proprio nel fatto che è un grande debitore con i suoi oltre 2.000 miliardi di debito. La Ue e l’Euro potrebbero resistere agevolmente ad un default greco pari a 300 miliardi e forse potrebbe incassare anche un tracollo portoghese, ma un colpo da 2.000 miliardi è decisamente troppo. Come ci ha insegnato un grande finanziere, un piccolo debito è un problema del debitore, ma un grande debito è un problema del creditore.
E la cosa potrebbe funzionare anche perché potrebbero accodarsi spagnoli, greci, portoghesi, mentre la parte loro potrebbero farla anche i variegatissimi movimenti “euroscettici”, che si sono appena affermati come forza politica di primo piano, nelle elezioni di due mesi fa. E dunque, la via sarebbe quella di sedersi tutti al tavolo e assumere il problema del debito come problema comune a debitori e creditori. Questo non è un tempo normale da di grande crisi che chiede scelte radicali, nel nostro caso o servi della troika o ribelli decisi a far saltare il tavolo. Tertium non datur.
Ma questo richiederebbe una intelligenza, una preparazione, un coraggio politico di cui non sospettiamo lontanamente Renzi.
C’è qualcuno che ha scritto che Renzi fa a gara con Mussolini come peggior presidente del Consiglio della storia d’Italia. Non scherziamo: Mussolini è uno che ha scritto la storia (orribile, criminale, d’accordo, ma pur sempre storia), Renzi, al massimo, può scrivere la cronaca fiorentina.
La sua patetica impennata in difesa della sovranità nazionale (ridotta ad un miserrimo “E qui comando io!”) non vale una grinza sulla pelle di un rinoceronte, sarà travolto prima di aver finito di parlare.
Ma quello che verrà dopo, sarà anche peggiore. Prepariamoci.” Aldo Giannuli