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Dilettanti al governo: la Tasi si rinvia, ma resta un salasso

tasi_imuI COMUNI SONO IN RITARDO, L’ESECUTIVO HA PERSO UN MESE: SI PAGHERÀ A SETTEMBRE.

  Lo sapevano da almeno un mese che si sarebbe arrivati a questo punto. Lo sapevano almeno da quando dentro il terzo decreto Salva-Roma è stato inserito un emendamento – concordato da governo e maggioranza – che spostava dal 31 maggio al 31 luglio il termine per i Comuni per predisporre i loro bilanci. Lo sapevano – e s’intende a Palazzo Chigi e in particolare il sottosegretario Graziano Delrio (ma pure il presidente Anci Piero Fassino) – perché il tema fu posto in quei giorni anche nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, specialmente dal presidente della prima, Francesco Boccia: qui si continuano a cambiare le leggi sulla fiscalità locale, non si fa in tempo, la prima rata della Tasi va fatta slittare a settembre. Niente. Ora, quando manca meno di un mese alla scadenza del 16 giugno, il governo si decide a farlo con un comunicato nella serata di ieri, costretto dal caos che già serpeggia tra commercialisti, Caf ed enti locali. “Dilettanti allo sbaraglio”, è il commento sprezzante degli esperti parlamentari di bilanci locali.

 RIPARTIAMO dall’inizio. La Tasi è la tassa sui servizi comunali che, insieme alla Tari (rifiuti) e un residuo di Imu, costituisce la Iuc, l’imposta unica comunale che, come si vede, non è affatto unica. La prima rata della Tasi – la cui aliquota base è fissata al 2,5 per mille della rendita catastale – andava pagata entro il 16 giugno: per farlo, però, serviva che i sindaci decidessero per ogni comune l’aliquota effettiva (cioè se aumentare quella base, lasciarla identica o abbassarla) e come calcolare le detrazioni già finanziate dallo Stato entro il 23 maggio (il 31 maggio, poi, era il termine per presentare i bilanci). Peccato che, ad oggi, nemmeno il 10% degli oltre ottomila comuni italiani abbia ottemperato all’obbligo. Un po’ ha pesato anche il fatto che in circa quattromila paesi il 25 di maggio si vota e nessuno vuole aumentare le tasse – anche se è necessario – durante la campagna elettorale. Anche per questo – e perché il legislatore continuava a mettere le mani sul fisco locale – il Parlamento un mese fa ha deciso di far slittare la data in cui si devono chiudere i bilanci al 31 luglio: rinvio necessario se è vero che l’ultimo taglio per i comuni è contenuto addirittura nel decreto Irpef, non ancora convertito.

RISULTATO: i cittadini non sanno ancora quanto dovrebbero pagare (e per quei 4.000 comuni che votano bisognerà ormai aspettare il nuovo sindaco). Se per le prime case la faccenda si potrebbe risolvere con una prima rata forfettaria, per altre la cosa è impossibile. La Tasi, infatti, ricade anche sugli inquilini delle abitazioni affittate per una percentuale che la legge individua tra il 10 e il 30% del totale: la decisione definitiva avrebbero dunque dovuto prenderla i comuni, ma nel 90% dei casi non si sa ancora assolutamente nulla. Per questo, per evitare il caos, il governo ha finito per decidersi a far slittare il pagamento da metà giugno al 16 settembre. Ma non per tutti, però. Secondo la soluzione caldeggiata da Piero Fassino e dall’Anci, negli 832 comuni che hanno già deciso le aliquote si pagherà subito, tutti gli altri invece sono appunto rimandati a settembre. Una giungla contributiva che creerà più di un problema ai cittadini e ai loro consulenti fiscali: per chi possegga due case in due comuni diversi è assai probabile che l’apppuntamento con la Tasi-Tari-Imu divenga in sostanza in tre fasi: a giugno, a settembre per i ritardatari e a dicembre per il saldo annuale.
IN ATTESA che tutte i sindaci facciano il loro dovere, comunque, il Servizio Politiche Territoriali della Uil ha fatto i conti sul peso della Tasi analizzando le scelte degli 832 comuni che hanno rispettato i tempi. Il risultato è che la Tasi costerà all’ingrosso come l’Imu: nel totale delle città-campione, infatti, la media è di 240 euro a famiglia contro i 267 dell’Imu 2012. Analizzando i 32 capoluoghi di cui si conoscono già aliquote e detrazioni si scopre poi che nel 37,5% dei casi (12 città) la Tasi sarà addirittura più alta dell’Imu pagata nel 2012: Bergamo (+ 21 euro); Ferrara (+ 60 euro); Genova (+ 67 euro); La Spezia (+ 47 euro); Mantova (+ 89 euro); Milano (+ 64 euro); Pistoia (+ 75 euro); Sassari (più 40 euro); Savona (+ 28 euro); Siracusa (+ 16 euro); Palermo (+ 2 euro). Nelle altre venti città la nuova tassa sui servizi sarà uguale o inferiore a quella voluta da Mario Monti. In realtà il problema vero, quanto al costo, si porrà nel 2015: quest’anno, infatti, il governo ha messo da parte oltre un miliardo e mezzo di euro per garantire le detrazioni, ma si tratta di uno stanziamento una tantum. Fare un discorso generale sull’applicazione della Tasi, comunque, sarà molto difficile: i margini di manovre per ogni comune sono infatti amplissimi. La Uil ha calcolato che, semplicemente applicando la legge, si potrebbe arrivare a 75 mila combinazioni diverse. Solo il salasso resta più o meno uguale.

di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 20.05.2014

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