E’ quanto sostengono 29 tra i più importanti costituzionalisti e giuristi d’Italia in un appello pubblicato oggi dal quotidiano comunista ‘il manifesto’. Tra i firmatari anche Stefano Rodotà.
Un attacco diretto quindi, perché “la proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell’accordo tra il segretario del Pd Matteo Renzi e il leader di FI Silvio Berlusconi – scrivono i 29 – consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale“.
Insieme a Stefano Rodotà, sono primi firmatari Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Michelangelo Bovero, Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Paolo Caretti, Giovanni Cocco, Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci, Alessandro Pace, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale. Hanno sottoscritto anche Pietro Adami, Anna Falcone, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Domenico Gallo, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno, Carlo Smuraglia e Felice Besostri.
Al centro delle critiche dei costituzionalisti all’Italicum, ci sono “l’enorme premio di maggioranza” e la mancanza delle preferenze. Ma anche “un altro fattore compromette ulteriormente l’uguaglianza del voto e la rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge appena dichiarata incostituzionale: la proposta di riforma prevede un innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento“. Insomma, secondo i firmatari dell’appello “l’abilità del segretario del Pd è consistita, in breve, nell’essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale”. Di conseguenza, i costituzionalisti “esprimono il loro sconcerto e la loro protesta” per una proposta di legge che rischia una “nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica“.
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Redazione
Il Fatto Quotidiano