Un sistema detentivo che non si basi solo sulla pena, ma sulla riabilitazione e sul reinserimento sociale.
É il modello svedese che, numeri alla mano, dimostra che senza indulti o svuotacarceri può incidere lì, dove sarebbe opportuno: il rischio di reiterazione del reato una volta usciti. E’ quanto accade in Svezia, dove il numero dei detenuti invece che aumentare, diminuisce. A novembre il paese scandinavo ha deciso di chiudere quattro istituti. Dal 2004 il numero dei carcerati è infatti calato dell’1 per cento annuo fino a precipitare a un meno 6 nel biennio 2011-2012, con la stessa previsione per i prossimi due anni. Ma non è una favola: la criminalità esiste. La certezza della pena e il reinserimento però portano a quello che, in tutto il mondo civile, iniziano a prendere come esempio sulla detenzione.
Sulla reiterazione dei reati
Le ragioni? Dietro uno degli indici di recidiva più basso d’Europa (30-40% nei primi tre anni) ci sono veri programmi di riabilitazione, prevenzione e pene non carcerarie per i reati minori. Il possesso di piccole quantità di droga, ad esempio, viene punito con multe o affidamento ai servizi sociali territoriali che si sono dimostrati molto più efficaci nello scongiurare la reiterazione del reato. In Svezia il recupero e il reinserimento sociale non sono solo parole, ma reali obiettivi della pena detentiva. Si cerca di dare all’individuo la possibilità di capire quali sono state le conseguenze dei suoi gesti sugli altri e soprattutto su se stessi, mentre si lavora, si studia e ci si prepara al rientro in società. La privazione della libertà, secondo questo modello, è l’unica vera pena detentiva che va perpetrata. In sostanza, un approccio al crimine e alla carcerazione di natura liberale e progressista. Diametralmente opposto a quello statunitense, dove la percentuale di recidiva oscilla tra il 40 e il 70% e dove le prigioni sembrano più mirate a infliggere una sofferenza per “pareggiare i conti”, eliminando i bisogni fondamentali dell’individuo.
Uno studio pubblicato dal sito dropoutpre vention.org che mette a confronto il sistema detentivo statunitense con quello dei paesi scandinavi, evidenzia come questi ultimi raggiungano più efficacemente l’obiettivo di ridurre il tasso di “ricaduta”. Quando la Norvegia ha deciso di implementare il sistema carcerario svedese, ha visto diminuire il proprio numero di detenuti da 200 (nel 1950) a 65 (nel 2004) per ogni 100mila abitanti. Nella prigione modello di Bastoy, si cerca di sviluppare tra i reclusi il senso di responsabilità dando loro opportunità di lavoro in base alla loro comprovata capacità di costruire e mantenere comportamenti sani e rapporti di fiducia con l’amministrazione carceraria. Si possono programmare autonomamente le proprie attività scegliendo tra diverse opzioni: un laboratorio di pittura, o di lettura, magari di ceramica. In questo modo si cerca di sviluppare l’indipendenza della persona.
In un recente articolo del Guardian, il giornalista Erwin James ha chiesto al responsabile del servizio carcerario svedese Nils Oberg quali fossero i motivi della diminuzione dei loro detenuti. Non sapendo dare una risposta precisa, Oberg ha ipotizzato che il fenomeno fosse appunto una conseguenza diretta dell’applicazione dei programmi riabilitativi perfezionati nel corso degli anni. Inoltre, in Svezia, l’età per poter essere giudicati è fissata a 15 anni, e fino a 21 niente ergastolo.
Kenneth Gustafsson, direttore del carcere di Kumla, il più sicuro del paese situato 130 miglia a Ovest di Stoccolma, ha raccontato al giornale inglese: “Nella mia esperienza, la maggior parte dei detenuti ha voglia di cambiare e dobbiamo fare tutto quello che possiamo per far sì che questo accada”. Gli obiettivi che si propone il dipartimento di Giustizia per gli anni a venire vanno nella direzione di un ulteriore perfezionamento dei programmi di recupero: “La nostra priorità saranno i giovani detenuti e gli uomini con accuse legate a comportamenti violenti. Per molti anni ci siamo dedicati ai tossicodipendenti , mentre adesso ci stiamo concentrando sullo sviluppo di programmi specifici per far fronte ai reati di aggressione e violenza. É di questo che si preoccupano i cittadini al momento del reintegro in società dei detenuti.”
Associazioni di volontariato
Un’altra spiegazione di questo fenomeno potrebbero essere le tante associazioni di volontariato formate da ex-detenuti che mettono a disposizione un’efficace rete di supporto per chi entra o esce dal carcere, provvedendo non solo a una costante supervisione ma garantendo programmi di trattamento per chi deve scontare reati collegati all’abuso di sostanze, o ad atti violenti. Peter Soderlund ha scontato quasi tre dei quattro anni di detenzione per una storia di droga e armi prima di essere rilasciato nel 1998. “Quando ero dentro – racconta al Guardian – sono stato fortunato. Il direttore della prigione di Osteraker, dove ho scontato la mia sentenza, era illuminato. Venivamo trattati bene. Ho incontrato molte persone che avevano bisogno di sostegno e dopo essere stato aiutato dall’associazione ‘Kris’ ho capito che volevo fare lo stesso per gli altri. Con la nostra associazione ‘X-Cons’, incontriamo i detenuti al loro ingresso e li seguiamo nel processo di inserimento offrendo una rete di supporto”.
Entrando in una prigione svedese potreste anche non accorgervi di essere in un istituto di pena. Specie nelle fasi avanzate della detenzione vedrete detenuti che escono per recarsi a lavoro, o per studiare, indossando i propri vestiti. Alcune celle somigliano più a stanze di campus universitari con televisori a schermo piatto, cellulari e mini-frigo. Niente impenetrabili barriere, né condizioni punitive inflitte al solo scopo di rispondere al bisogno di giustizia delle vittime. Ma un’organizzazione mirata al recupero di chi vuole davvero essere aiutato a tornare nella società.
Il Fatto Quotidiano 27.01.2014