Acqua Ecologia

La fine dei fiumi

Fiume SeleLa situazione dei fiumi in Italia e nel mondo è tragica e lo dimostrano i sempre più ricorrenti allagamenti con la loro scia di devastazione e morte. Ecco il primo articolo di una serie di scritti sul tema che riguarderanno le strategie di difesa, i progetti negativi e quelli positivi, nella speranza che si apra un dibattito serio nel nostro paese e che il popolo ambientalista apprenda la situazione su ambienti così delicati e importanti e avvii una mobilitazione nazionale per ridare un filo di speranza e di futuro a questi habitat.

Cammino lentamente scansando rami di ontano nero, corniolo, nocciolo e mi apro la strada in un mare di equiseti che si richiudono dietro di me, facendomi sembrare una creatura galleggiante. A pochi metri scorre talvolta gorgogliante, talvolta placido e serafico un fiume dalle acque trasparenti. Ogni cento metri circa forma brevi salti e pozze dove nuotano piccoli pesci, e le idrometre (insetti acquatici ) si rincorrono bisticciando per poter stare a crogiolarsi sotto ai raggi di sole, che in questo tratto fortunato del fiume non sono molti. Ovunque vi sono infatti alberi, arbusti, piante acquatiche che si protendono alla ricerca della luce.
Vi sono poi tronchi e rami, anche giganteschi, adagiati al suolo o appoggiati ad altre piante, che sono il regno incontrastato di formiche, termiti, scarabei, cerambici e uccelli come picchi o allocchi, gufi, civette.
Si tratta di un paradiso come ne rimangono ormai pochi nel nostro paese. La situazione dei fiumifiume_sele1 e corsi d’acqua italiani, è infatti catastrofica. Ovunque regnano cementificazione, inquinamento, irreggimentazione. Industrie, case, strade e ferrovie, parcheggi, piste ciclabili e campi coltivati intensivamente li circondano, li abbracciano, li chiudono.
E i risultati si vedono tutti i giorni e basterebbero a sconfessare la “gestione” di tutta la nostra rete fluviale.
Già solo se andiamo a vedere cosa è accaduto a questo riguardonegli ultimi vent’anni, ci troviamo di fronte a questa serie di avvenimenti, e cito solo i più importanti:

– 5 novembre 1994, alluvione in Piemonte con 70 morti e oltre 2000 senzatetto;
– 13 marzo 1995, alluvione in Sicilia orientale con 6 morti;
– 19 giugno 1996, alluvione in Versilia con 13 morti e 1500 senzatetto;
– 14 ottobre 1996, alluvione di Crotone con 6 vittime;
– 5 maggio 1998, alluvione e frana di Sarno con 159 vittime e numerosi sfollati;
– 9 settembre 2000, alluvione in Calabria (Soverato) con 13 morti e 1 disperso;
– 13-16 ottobre 2000, alluvione in Italia nord-occidentale con 23 morti, 11 dispersi e 40.000 sfollati;
– 6-23 novembre 2000, alluvione della Riviera di Ponente con 7 morti;
– 3 luglio 2006, alluvione di Vibo Valentia con 4 morti ed enormi danni;
– 29 maggio 2008, alluvione di Villar Pellice (Torino) con 4 vittime;
– 22 ottobre 2008, alluvione a Capoterra (Cagliari) con 5 vittime;
– 1 ottobre 2009. alluvione in provincia di Messina con 36 vittime ed enormi danni,
– 1 novembre 2010, esondazione del fiume Bacchiglione (Veneto) con 3 vittime, 500.000 persone coinvolte, 200.000 animali di allevamento annegati e un miliardo di euro di danni;
– 25 ottobre 2011, alluvione in Lunigiana e provincia di La Spezia con 12 vittime;
– 4 novembre 2011, alluvione di Genova, 6 morti;
– 12 novembre 2012, alluvione nella Maremma grossetana con 6 morti;
– 18 novembre 2013, alluvione in Sardegna con 18 vittime e grossi danni.

Continua?

Complessivamente negli ultimi vent’anni, a causa del dissesto idrogeologico ci sono stati danni per 30.000 miliardi e sono state coinvolte nei disastri 70.000 persone. Secondo le stime del Corpo Forestale dello Stato, circa 6.600 comuni italiani sono in aree a elevato rischio, che corrispondono al 10% dell’intero territorio nazionale.Ma questi dati impressionanti, che sono solo una piccolissima parte dello stillicidio di “eventi catastrofici” che hanno colpito il nostro paese, non vengono attribuiti all’opera dell’uomo precedentemente descritta, al contrario: la responsabilità è della NATURA, questa malvagia entità astratta che fa di tutto per metterci i bastoni fra le ruote. Si grida da tutte le parti, dalla tv alle radio, passando per i giornali e finendo nei bar, nelle botteghe e dai parrucchieri: “È ora di finirla con questi fiumi tutti sporchi”, “Nessuno pulisce questi fiumi, è una vergogna!” e ancora: “Invece di spendere i soldi per fare i parchi e le riserve utilizzateli per la sicurezza fluviale!”.

Peccato che tutti questi accorati appelli per la pulizia degli alvei fluviali non sono urlati o scritti per le tonnellate di rifiuti di ogni tipo che vengono riversate nelle acque o “garbatamente” scaricate lungo le sponde dei nostri poveri torrenti. Si va dall’amianto ai più semplici copertoni di auto, per poi approdare a sacchetti di plastica, lattine, bottiglie di ogni genere. Gli appelli accorati sono per tagliare ed eradicare la vegetazione che cresce rigogliosa nel suolo umido dei torrenti, o per eliminare gli alberi o i rami crollati sui greti e negli alvei fluviali. Come se la causa di piene rovinose, esondazioni e crolli di sponde fosse da addebitare alla naturale vegetazione riparia!I problemi fondamentali, invece, che sono la causa dei disastri con distruzione e morti, sono tre.

Il primo, e anche il più difficile da risolvere, è l’aver costruito su terreni di esondazione, cioè soggetti a contenere e placare la furia del fiume, permettendogli di uscire dal suo normale alveo di scorrimento e facendogli perdere così energie e velocità. Queste zone erano soggette ogni tot anni a eventi di piena con conseguenti allagamenti o erosione delle sponde. In queste aree molto appetibili perché pianeggianti sono state realizzati da lungo tempo una infinità di edifici e infrastrutture di ogni tipo e incredibilmente… si continua a costruire.
Il secondo problema, ma non certo di minor importanza, èl’effetto serra. Gli eventi meteorologici con il cambiamento climatico sono diventati molto più distruttivi e improvvisi di un tempo. Anche la loro frequenza si è assai intensificata e ultimamente colpiscono anche il più protetto bacino del Mediterraneo, che aveva la prerogativa di mitigare il clima e di non creare perturbazioni imponenti e distruttive come lo sono le tempeste oceaniche. Anche questa questione è di difficile soluzione, e però non si vede nel nostro paese nessun tentativo di arginare il fenomeno da parte di alcuna istituzione, mentre si nota l’indifferenza ad esso della maggior parte dei cittadini, che poi si arrabbiano e si indignano quando vedono la loro macchina trascinata via o la loro casa inondata di acqua e fango.
Fango! Ecco il terzo problema e forse quello chiave per la grande soluzione. Come mai nelle immagini delle alluvioni in tutta la nostra penisola non si vede altro che fango?
Perché a monte delle inondazioni vi è stata una enorme erosione di suolo, dovuta a determinati tipi e metodi di coltivazione, all’assenza di vegetazione a causa di incendi, a tagli del bosco sconsiderati e… a causa della cosiddetta pulitura dei fiumi: la pioggia, soprattutto quando è violenta, provoca erosione e questa è molto più intensa laddove il suolo non ha copertura vegetale o dove il suolo è più sciolto come nelle zone coltivate ed arate intensamente. La pendenza del suolo è poi fondamentale nell’acuire il fenomeno. Ed ecco allora riaffiorare nella mia memoria le immagini di una delle poche alluvioni che ho vissuto in prima persona. Era il 1994, in autunno. Pioveva intensamente e ininterrottamente da ore e ore. La pioggia era così fitta e pesante che impediva la visuale a poche decine di metri.
Ovunque l’acqua scorreva veloce e a fiumi, ma dai boschi e dai campi inerbiti scendevano ruscelletti di acqua limpida o poco torbida. Dai campi terrazzati non vi era affatto ruscellamento.
Ma le vigne arate e a rittochino e le strade sterrate vomitavano fiumi di fango e detriti in modo impressionante. In poche ore, in una vigna confinante con i nostri terreni, si erano creati solchi profondi un metro, e massi di centinaia di chili rotolavano nell’alveo scomparendo nei flutti apocalittici. Finita la pioggia nei nostri terreni coperti di vegetazione si erano depositati metri di fango e sassi provenienti da tale vigna, ma molte decine di tonnellate di detriti erano state portate fino al fiume principale, che a valle era esondato distruggendo ponti e strade, travolgendo campi, case e fabbriche. Molte erano le vigne in quelle zone in cui si potevano osservare gli effetti della pioggia, ma nessuno accusò i nuovimetodi di coltivazione e anzi negli anni a venire nuove vigne vennero realizzate, alcune su pendii assai più ripidi.
Negli ultimi anni, piogge sempre più intense hanno eroso terreni sempre più aridi, anche a causa di incredibili siccità. Urge dunque una strategia per recuperare i corsi d’acqua degradati,rinaturalizzare gli alvei fluviali, ripristinare le normali casse di espansione e crearne di nuove che possano avere anche scopo di rifugio biologico per molte specie, come gli uccelli migratori. Si rende poi necessaria una politica nuova, tesa a stabilizzare o perlomeno contenere l’erosione del suolo, con scelte drastiche come la dismissione di determinate attività agricole o il loro rivoluzionamento (creazione di terrazzamenti, inerbimento, uso minimo di macchine agricole, creazione di scolatoi in pietra ecc.), oppure il rimboschimento di colline e montagne, cui potrebbero seguire nuove attività come la selvicoltura.
Se non si agirà entro breve, il futuro sarà drammatico per migliaia di persone e centinaia di catastrofi come Genova, Sarno o la Sardegna colpiranno il nostro paese.

di Martino Danielli
Il Cambiamento.it

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