NON SOLO GLI F-35, BLITZ DEL MINISTRO MAURO E LA NORMA È NELLA MANOVRA
Se per fare grande e forte l’Aeronautica militare si spendono 15 miliardi di euro per l’acquisto dei cacciabombardieri F-35, può la Marina fare la figura della cenerentola restando a bocca asciutta? Certo che no. E infatti, solerte e comprensivo nei confronti del grido di dolore degli alti comandi, il ministro ciellino della Difesa, Mario Mauro, è corso ai ripari. Al comma 13 dell’articolo 3 della legge di Stabilità ha inserito quasi di soppiatto uno stanziamento monstre che si presume faccia felice lo Stato maggiore marittimo e la società statale Fincantieri che le navi militari le fabbrica, ma che è una specie di bocca di pozzo aperta sui conti pubblici per i prossimi vent’anni: in totale quasi 6 miliardi e mezzo di spesa per “assicurare il mantenimento di adeguate capacità della Marina militare”. In pratica per rinnovare la flotta. Su Mauro hanno fatto breccia le valutazioni e le pressioni del nuovo capo di Stato maggiore della forza navale, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Lo stesso alto ufficiale che si è fatto promotore della circumnavigazione dell’Africa e di puntate in Medio Oriente con la portaerei Cavour, vanto della marineria militare italiana, trasformata all’uopo in un bazar itinerante inviato a illustrare le eccellenze del made in Italy. Inteso nella sua accezione più vasta: Nutella, mobili, design, yacht, cavi, pneumatici, sistemi ferroviari. E soprattutto armi, ovviamente.
ALCUNE SETTIMANE fa l’ammiraglio ha perorato al ministro la causa del rinnovamento della flotta presentandola come un’esigenza assai più impellente di quella degli F-35. Secondo il capo della Marina la vera minaccia da cui l’Italia deve difendersi è quella che grava sulle rotte di approvvigionamento delle materie prime, insidiate dalla pirateria internazionale. Per difendere quelle rotte meglio dei cacciabombardieri sono le navi. Il ministro Mauro ha immediatamente recepito il messaggio senza però minimamente ritoccare il programma di acquisto degli F-35, che anzi viene integralmente confermato. Il ministro si è limitato ad affiancare l’uno all’altro, sommando megaspesa a megaspesa. Come se l’Italia fosse il paese del bengodi militare. È una decisione grave, soprattutto in considerazione dello stato disastroso della nostra economia e dei conti pubblici e che sottovaluta la sofferenza acuta di una parte sempre più estesa di cittadini a cui si continuano a chiedere sacrifici e tasse alla rincorsa perenne di sfuggenti parametri di bilancio imposti dall’Europa.
Quella scelta è grave anche da un punto di vista politico perché effettuata quasi a ripicca rispetto a una parte del partito di maggioranza, il Pd, che infatti ora soffre in un imbarazzato stato d’impotenza soprattutto per il metodo seguito. Con l’impegnativo stanziamento a favore della Marina militare vengono per l’ennesima volta trascurate le prerogative del Parlamento. E ciò avviene nel momento in cui gli stessi democratici avevano molto insistito perché le scelte sugli investimenti militari fossero riportate nelle aule parlamentari e sottratte alla potestà esclusiva e sostanzialmente insindacabile di ministri e capi di stato maggiore. Quella battaglia politica aveva preso le mosse dalla polemica sulla stratosferica spesa per gli F-35 e si era concretizzata dal punto di vista parlamentare nell’istituzione di una commissione di indagine per verificare l’opportunità o meno dell’acquisto dei cacciabombardieri, un’inchiesta poi estesa alla valutazione di tutti i circa 70 costosissimi programmi di spesa militare. L’indagine è tuttora in corso e la conclusione prevista per gennaio. Sono stati sentiti capi di stato maggiore, manager industriali, esperti militari con l’obiettivo di accertare una volta per tutte, in una logica complessiva e il più possibile sottratta alle interessate ed estemporanee pressioni delle lobby, che cosa ci fosse da confermare in quel fiume ingentissimo di spesa e che cosa invece tagliare. Che cosa fosse più prudente rinviare e che cosa al contrario accelerare.
RISPETTO a questa impostazione, la decisione del ministro appare come una specie di colpo di mano e di fatto ridicolizza l’attività della commissione di indagine sulle spese militari e più in generale l’iniziativa parlamentare in tema di difesa. Di più: essendo il mega-investimento per la Marina inserito nella legge di Stabilità su cui verrà posta la fiducia in Parlamento, esso è di fatto sottratto a qualsiasi possibilità di modifica da parte dei senatori. Insomma, con una specie di passo del gambero per le spese militari, anche le più ingenti, viene di nuovo imposto a tutti un ultimativo prendere o lasciare. E il Parlamento risospinto verso un mortificante e passivo ruolo notarile.
di Daniele Martini
Il Fatto Quotidiano 26.11.2013