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La Chiesa e l’Imu: aspettiamo la telefonata di Francesco

Imu-Chiesa L’Italia aspetta una telefonata di papa Francesco. Un colpo di telefono al cardinale Bagnasco perché si muova affinché gli enti ecclesiastici paghino l’Imu dovuta per le attività d’impresa, che fanno profitto. Troppo grande è lo scandalo della continua, ostinata evasione favorita dalla collusione dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Si tratti di Berlusconi, Monti o del duo Letta-Alfano. Magari sarebbe anche utile una telefonata al premier Letta, perché non nasconda dietro i sorrisi esibiti con il pontefice ad Assisi la sua responsabilità nella cecità selettiva verso gli edifici religiosi, in cui si svolgono attività commerciali a tasse zero.

È uno scandalo che diventa tanto più insopportabile nel clima instaurato dal nuovo papa e dal suo auspicio di una “Chiesa povera e per i poveri”. Come si strutturerà questa Chiesa lo si capirà nel prosieguo. Ma intanto i contribuenti italiani, che pagano regolarmente le tasse, e specialmente i gestori di imprese “civili” che fanno il loro dovere a differenza di molti imprenditori ecclesiastici, si accontenterebbero in Italia di una Chiesa che non prema continuamente – in pubblico o sottobanco – per arraffare privilegi. Stride proprio l’immagine di una Chiesa povera con le belle, a volte lussuose stanze d’albergo realizzate in edifici religiosi e coperte da una ormai intollerabile immunità. Il non profit – è bene dirlo subito con chiarezza – non c’entra niente. L’Unione europea, indignata per la palese e sfacciata protezione fiscale di attività commerciali realizzate da enti ecclesiastici, aveva costretto il premier Monti nel 2012 a varare una legge che finalmente sottoponeva all’obbligo fiscale i profitti commerciali degli enti religiosi. Il principio – adottato da Monti in sintonia con la stessa Cei – non aveva nulla di anticlericale e distingueva tra parti di edificio utilizzate per fini religiosi o no profit e parti di edificio a uso commerciale.

DOVEVA ESSERE l’inizio di una pagina nuova e limpida. Troppo bello da credere in un’Italia democristiana in eterno. Fatta la legge trovato l’inghippo. Perché il premier Monti, di rigore europeo a Bruxelles, ma “famose a capi’” tra le due sponde del Tevere, stabilì inopinatamente che per il 2012 gli enti ecclesiastici non avrebbero dovuto scucire nulla e per il 2013 si “dimenticò”, lui così preciso, di far redigere il regolamento attuativo. Il governo Letta lo ha prontamente seguito con studiata trascuratezza. Del regolamento non si è vista l’ombra. Evidentemente la correttezza fiscale della Chiesa non è un’“issue” come si esprimerebbe Oltralpe. Risultato: nel 2012 gli enti ecclesiastici maestri di elusione (ce ne sono anche di perbene) nulla pagarono e nemmeno nel 2013 hanno tirato fuori un euro. Agosto scorso il premier Letta ha aggiunto la classica truffa ai danni dell’erario, condita dal una notazione lacrimosa. La futura service tax, ha dichiarato, non riguarderà il no profit “oggi pesantemente penalizzato dall’Imu”, che andrà “completamente alleggerito in prospettiva futura”. Dichiarazione fumogena, poiché qui non si tratta di caricare di oneri il no profit, ma di far pagare il giusto chi fa profitto. Non farlo in presenza di centinaia di milioni di evasione e del disperato bisogno del-l’erario è un delitto. Né l’evasione prepotente può essere compensata da molte altre iniziative di carità. Papa Francesco ha letto i Promessi Sposi e conosce bene questo stile: forte con i deboli e debole con i forti. È vero che ai presuli della Cei ha detto che le questioni sociali e politiche italiane spettano al-l’episcopato d’Italia. Ma la Cei qui ha bisogno di una robusta spinta da parte del papa, che come “primate d’Italia” qualche responsabilità sul corretto agiredella Chiesa nel nostro paese ce l’ha. Urge la determinazione che ha spinto il papa argentino a esigere che la banca vaticana – inquinata da prassi decennali del Bel Paese – facesse pulizia. Un colpo di telefono per far capire che è finita l’era delle furbizie clericali. L’Italia aspetta.

di Marco Politi
Il Fatto Quotidiano 11.10.2013

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