Sei italiani su 100 scelgono questo stile di vita e di alimentazione.
Così, il panorama «veg» è anche difficile da quantificare e i numeri infatti oscillano. Le statistiche Eurispes indicano come vegetariani il 6% degli italiani. Un sesto di questi – l’1,1% della popolazione – sarebbero i vegani, seguaci della versione più rigorosa, contrari anche ad abiti in pelle o lana, al miele e a ogni forma di sfruttamento animale. Quattro anni fa, tuttavia, le stime erano diverse: nel 2009, l’Unione vegetariana europea parlò di oltre sei milioni di vegetariani, il 10% della popolazione italiana.
Significa che nel frattempo i vegetariani sono diminuiti? Probabilmente no. Al contrario, stiamo parlando di una galassia più complessa, che inizia a sfuggire alle definizioni troppo rigide. Certo, resta un ampio zoccolo duro di italiani che non metterebbe mai la forchetta su un hamburger di tofu. Ma nel frattempo gli equilibri – e i ragionamenti – a tavola sono cambiati.
«Anche tra chi non è vegetariano si è diffusa la tendenza a mangiare meno carne e cercare di consumare proteine alternative – conferma Massimo Santinelli, direttore del Festival Vegetariano, in programma a Gorizia dal 30 agosto al 1° settembre – . In fondo non stiamo scoprendo niente di nuovo: siamo nel solco delle tradizioni contadine, di quando la carne si mangiava una volta ogni tanto e un maiale sfamava la famiglia per settimane».
Come detto, sempre più spesso ci si avvicina al vegetarianismo per motivi diversi. «Bisogna dividere in fasce – spiega Santinelli -. Le famiglie ne fanno una questione di salute: evitano la carne, cercano di comprare alimenti di qualità garantita e si interessano al biologico. Per i giovani è invece più una questione etica, di rispetto della vita e dell’ambiente. Quella ecologica è la vera novità, secondo me una rivoluzione culturale: oggi si diventa vegetariani per la voglia di vivere con un impatto minore sul pianeta. È il motivo che ha spinto anche me, a oltre 50 anni e da ex amante della carne e del buon prosciutto, a fare la stessa scelta».
È qui che il vegetarianismo si intreccia e avvicina ad altre pratiche legate alla sostenibilità, come i cibi biologici, il consumo di prodotti a chilometro zero, gli orti urbani e la tendenza a coltivare e consumare in proprio. «È una forma di anti-globalizzazione, ma – è vero – con meno ideologia di una volta – dice Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico esperto di temi ambientali – È la risposta alla crisi ecologica e il frutto di una maggiore attenzione alla salute. Oggi è decisivo sapere che eliminare o ridurre la carne è più sano da tanti punti di vista».
Se le ragioni ambientali hanno spinto molti italiani verso la svolta vegetariana è anche perché i dati non lasciano dubbi sull’insostenibilità del modello carnivoro: «Gli allevamenti emettono il 18% dei gas clima-alteranti totali: più del traffico, colpevole del 16 %, o delle emissioni – prosegue Tozzi -. Non è difficile da capire: quanta CO2 consumiamo ogni volta che mangiamo una bistecca argentina? Per non parlare dell’acqua: un manzo ne consuma abbastanza per tenere a galla un incrociatore. E poi c’è il grande paradosso: per nutrire le bestie da allevamento ci priviamo di proteine vegetali che sono perfette per la nostra alimentazione. Invece di mangiarle, le diamo alle vacche e le usiamo per produrre proteine animali: proprio quelle che ci fanno male».
di Stefano Rizzato
La Stampa.it 25.08.2013