La sentenza ha dato ragione all’amministrazione locale che a maggio 2013 aveva disposto la chiusura di un luogo adibito a scommesse a pochi passi dal municipio. Il consigliere regionale Liana Barbati: “Segnale importante. La ludopatia è un problema serio che lo Stato deve affrontare”.
No alle sale da gioco in centro città. E’ il tribunale amministrativo regionale di Parma a dare ragione al Comune di Reggio Emilia, che a maggio 2013 aveva firmato un’ordinanza per disporre la chiusura di un centro scommesse, l’Admiral, aperto dall’Adria Gaming Bolzano srl a due passi dal municipio. Il Tar ha infatti respinto il ricorso che la società aveva presentato contro l’amministrazione cittadina, che imponeva, di fatto, “il ripristino dello stato dei luoghi” adibiti a sala videolottery, e la conseguente chiusura del centro scommesse, creando un precedente “significativo” nella lotta dei Comuni contro il gioco d’azzardo. “E’ un passo molto importante – spiega Liana Barbati, consigliere regionale dell’Italia dei Valori e promotrice della legge approvata all’unanimità da viale Aldo Moro per contrastare il fenomeno – il gioco d’azzardo in Italia è un problema serio che deve essere affrontato, e sotto questo punto di vista Reggio Emilia è un esempio a livello nazionale”.
La vicenda dell’Admiral era iniziata a fine 2012, quando Adria Gaming Bolzano aveva deciso di aprire una sala da gioco con videolottery nella centrale via Cassoli, scatenando le proteste dei residenti. I reggiani, allora, si erano rivolti direttamente al questore Domenico Savi e al sindacoGraziano Delrio, oggi ministro per gli Affari regionali, ma, mentre la questura aveva dovuto concedere le autorizzazioni necessarie ad aprire l’Admiral, il Comune aveva trovato un ‘espediente’ per impedire alle videolottery di varcare i confini del centro storico: verificarne “la compatibilità di destinazione urbanistica”. Compatibilità che per il comune non sussisteva: l’insediamento di un’attività “videolottery terminal”, infatti, rientra nell’uso urbanistico ‘b14’, “attività ricreative con problematiche d’impatto”, e non nel ‘b2’, “pubblici esercizi”, l’unico consentito nell’area di via Cassoli, la “città storica”. Pertanto, aveva stabilito a maggio la giunta comunale, non solo la sala da gioco andava chiusa, ma era obbligatorio, entro 90 giorni dalla firma dell’ordinanza, ripristinare “lo stato dei luoghi” occupati da Adria Gaming Bolzano, e la demolizione delle opere edilizie abusive realizzate per ristrutturare i locali.
Un provvedimento che la società aveva impugnato presentando ricorso al Tar, che però ha dato ragione al comune. Per conoscere il giudizio di merito del tribunale amministrativo si dovrà attendere il 18 settembre, intanto, però, la giunta si dichiara soddisfatta, tanto che l’assessore alla Sicurezza Franco Corradini porterà l’esempio di Reggio al prossimo incontro organizzato tra 300 comuni soci di “Avviso Pubblico, enti locali e regioni per la formazione civile contro le mafie”.
“Purtroppo non è un mistero che se lo Stato guadagna il 7 – 8% dal gioco d’azzardo, il resto degli incassi va alla mafia, alla criminalità organizzata o, più in generale, alle attività di riciclaggio, ed è anche per questo motivo che è necessario un impegno ulteriore per contrastarne la diffusione – spiega Barbati – l’Emilia Romagna, in questo senso, rappresenta un esempio virtuoso, ma è ovvio che ciò che manca, in Italia, è una normativa nazionale capace di intervenire efficacemente sia in termini di contrasto, sia di prevenzione”. A luglio l’Assemblea Legislativa ha approvato all’unanimità il testo di legge finalizzato a contrastare il fenomeno del gioco d’azzardo e le sue ricadute personali e familiari, “oltre al danno sociale legato all’aumento nella popolazione della patologia di dipendenza correlata”, denominata Gioco d’azzardo patologico (Gap). “Ma non basta – continua Barbati – perché resta il fatto che chi va dal tabaccaio trova una slot machine, chi va al bar trova una videolottery, e così chi si reca in molti altri locali pubblici. Servirebbe maggiore sostegno per i Comuni e le Regioni, che oggi si trovano abbandonati a gestire quella che possiamo definire come una vera e propria epidemia, in grado di provocare milioni di vittime. A chi si rivolge una famiglia il cui membro è un giocatore compulsivo che ha perso la casa e il lavoro? Al Comune, che però ha bisogno di mezzi per sostenerla. Bisognerebbe potenziare il welfare, migliorare i servizi. Gli studi ci dicono che oggi ci sono, in Italia, più giocatori patologici che tossicodipendenti, e che le comunità di recupero dovranno riorganizzarsi per far fronte a questa nuova emergenza. La situazione è preoccupante”.
E’ per questo che Italia dei Valori a settembre avvierà una raccolta firme per sostenere una legge di iniziativa popolare che porti a “proibire il gioco d’azzardo” in tutto il paese. Un fenomeno che riguarda, in Italia, circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio ludopatia, con un fatturato costantemente in crescita, lievitato da 79,9 miliardi a 86 miliardi tra 2011 e 2012, e che in Emilia Romagna vale 6,4 miliardi, circa 1.840 euro a cittadino.
“La verità è che ci siamo trasformati in una specie di Las Vegas, solo che qui ci sono più macchinette e lo Stato è il primo biscazziere – conclude Barbati – la pubblicità ci racconta che bastano due euro per vincere milioni, ma sono informazioni sbagliate, fuorvianti. Le famiglie, e soprattutto i ragazzi, i più esposti oggi dal rischio ludopatia, devono capire che giocare è pericoloso, e che scommettere non è la soluzione alla crisi. Ma per far sì che ciò accada bisogna investire nella formazione, nel welfare, e lo Stato deve essere il primo a impegnarsi in questa battaglia”.
di Annalisa Dall’Oca
Il Fatto Quotiidiano 21.08.2013