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Trattativa, da oggi lo Stato processa se stesso

stato_mafia_processo_nicola_mancinoPer Antonio Ingroia è la più avanzata frontiera della magistratura inquirente, che per la prima volta “ha varcato le colonne d’Ercole del diritto”, ribaltando il paradosso di Leonardo Sciascia e dimostrando che lo Stato può processare se stesso. Nel-l’aula bunker di Pagliarelli si apre oggi il dibattimento sulla trattativa mafia-Stato: la Corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto, a latere Stefania Brambille, giudica cinque esponenti di Cosa nostra e cinque rappresentanti delle istituzioni accusati di aver siglato quell’inconfessabile compromesso tra mafia e Stato che – dietro le quinte dello stragismo – ha scritto la storia recente del Paese. Dopo quattro anni di un’indagine che ha trascinato la procura di Palermo davanti alla Consulta, per iniziativa del Quirinale, per aver “beccato” casualmente la voce di Giorgio Napolitano al telefono con Nicola Mancino, prossimo a finire nella lista degli indagati, i pm di Palermo Di Matteo, Tartaglia e Del Bene, accompagnati in aula dall’aggiunto Teresi, domani si presenteranno in aula per sottoporre le loro accuse alla verifica dibattimentale: alla sbarra i boss Riina, Bagarella, Cinà e il pentito Giovanni Brusca. Accanto a loro, sul banco degli imputati l’ex senatore Dell’Utri, gli ufficiali del Ros Subranni, Mori e De Donno. Tutti sono accusati di concorso nel reato di violenza e minaccia al corpo politico dello Stato, aggravata dall’aver agevolato Cosa nostra. Poi c’è l’ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, e il testimone Massimo Ciancimino, il “postino” del papello, che ha avuto il merito di aver parlato per primo della trattativa, ma oggi è ritenuto credibile solo parzialmente, e deve rispondere di concorso esterno in mafia e calunnia.   Altri due imputati, il boss Provenza-no e l’ex senatore Calogero Mannino, considerato l’ispiratore della trattativa, saranno processati a parte. Per il padrino, stralciato per ragioni di salute, l’udienza preliminare riprenderà il 10 luglio. L’ex ministro, che ha ottenuto il rito abbreviato, sarà processato a partire dal 29 maggio, anche se il gup Morosini si è dichiarato incompetente per avere deciso il rinvio a giudizio degli altri imputati e bisognerà attendere la nomina di un altro giudice. Tra i testi ammessi, oltre al Presidente Napolitano (che sarà sentito, ma non sulle intercettazioni), ci saranno l’ex presidente del consiglio Berlusconi, anch’egli citato da Repici, e l’ex presidente del Copasir D’Alema, quest’ultimo citato dall’avvocato di Ciancimino.

SIA MANNINO, che Mancino che Dell’Utri negano risolutamente l’esistenza di un patto Stato-mafia, così come gli ufficiali del Ros, che ammettono solo l’avvio di una “iniziativa investigativa” nel giugno del 1992 finalizzata alla collaborazione di don Vito Ciancimino, per arrivare la cattura dei latitanti mafiosi. Massimo, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, sostiene invece che la trattativa ci fu e portò alla cattura di Riina, nel gennaio del ’93, grazie al contributo offerto ai carabinieri da Provenzano, che in cambio avrebbe ottenuto la massima “copertura” istituzionale per proseguire la latitanza.    La frontiera del diritto per la prima volta varcata dal processo sulla trattativa consiste nella richiesta formale dei pm di Palermo (coordinati per tutta l’indagine preliminare da Ingroia) di verificare in un’aula di giustizia se pezzi degli apparati dello Stato e pezzi della classe dirigente, durante la stagione delle stragi del biennio 1992-’93, attivarono condotte criminali dialogando sottotraccia con i boss e determinando – come disse il procuratore di Palermo Francesco Messineo alla Commissione Antimafia – “la salvezza di molti in cambio del sacrificio di pochi”, sia pure nell’illusione di salvare la democrazia dalle bombe. Quella che si celebra a partire da domani nell’aula bunker è dunque una verifica dibattimentaleche potrebbe condurre ad una sorta di impeachment morale di un’intera classe dirigente, sia quella che traghettò l’Italia dalla Prima alla Seconda Repubblica, sia quella che subito dopo – dal 1994 in poi – conquistò con una massiccia vittoria elettorale, il governo del Paese, dando vita ad un vero e proprio “patto di non belligeranza” (così è definito nella ricostruzione dell’accusa) con Cosa nostra, i cui frutti oggi sono sotto gli occhi di tutti. Pezzi della sinistra e pezzi della destra: nessuno escluso.

di Giuseppe Lo Bianco Sandra Rizza
Il Fatto Quotidiano 27.05.2013

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