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“L’illegalità è diventata sistema”

Roberto-Scarpinato Nulla di diverso dalla Prima Repubblica”. Affonda il governo tecnico con poche battute, nella Sala Rossa del castello svevo di Barletta, archiviandolo nel novero nefasto dei governi che – ininterrottamente – dal 1948 a oggi hanno ignorato il nesso stringente tra illegalità e crisi economica. Con l’aggravante di averlo fatto in un momento storico che non consente, per l’assenza di una sovranità monetaria, di utilizzare le leve dell’inflazione o della svalutazione.

 

Il neo-procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato analizza la legge anticorruzione varata lo scorso anno ed è lapidario: “Nulla di diverso con la Prima Repubblica: c’è molto da riflettere sull’iter della legge anticorruzione varata l’anno scorso”. Nulla di diverso, innanzitutto perché “centrosinistra e centro-destra hanno disatteso le richieste europee per anni finché il governo, sotto la minaccia di una procedura d’infrazione, ha partorito il topolino di una legge inefficace e controproducente”. I motivi sono noti: diminuisce la pena della concussione per induzione, spesso non sono consentite le intercettazioni e resta irrisolto il problema della prescrizione che garantisce, spiega Scarpinato, la “morte assicurata” per molti reati dei colletti bianchi “introdotti proprio dalla stessa legge anticorruzione.    “Questa – dice il procuratore generale di Palermo – è la legalità possibile, in Italia, in questo momento”. Riprende il concetto di “legalità possibile” da un maestro del diritto, Giovanni Fiandaca, definendola – in estrema sintesi – come la legalità che trova vita negli “spazi lasciati liberi dai rapporti di forza”. E gli spazi lasciati liberi dai rapporti di forza si rivelano nella legge.

IL GIUDIZIO DI CONTIGUITÀ con il passato si fa più spietato proprio sul terreno più caro al Professore: l’economia. Non includere l’illegalità tra le concause della crisi, relegandola alla categoria dell’etica, è un grave errore, non soltanto di matrice teorica, perché si sta ripercuotendo nella vita reale di tutto il Paese: “Quando si sbaglia la diagnosi, la cura diviene inefficace”. Ed ecco la diagnosi di Scarpinato: “L’illegalità è una grave concausa della crisi in atto: da noi, rispetto agli altri paesi europei, funziona come un moltiplicatore della crisi. L’illegalità, rispetto alla prima repubblica, è rimasta costante ma, se non bastasse, sono venute meno le leve macroeconomiche come l’inflazione e la svalutazione. Alcune forme di illegalità hanno compiuto addirittura il miracolo di legalizzare se stesse: penso alla legalizzazione strisciante del conflitto d’interesse, alla vanificazione del principio di responsabilità penale grazie alla depenalizzazione di reati dei colletti bianchi, oppure all’azione della prescrizione. E poi penso all’evasione fiscale di massa, di grandi gruppi industriali, con 500/700 mld di euro di capitali italiani all’estero: in questo modo, alle casse italiane, mancano 230 miliardi di euro, che erano destinati alle politiche sociali. In Germania questo non avviene. Non è una patologia transitoria: è un fenomeno sistemico che fa parte della Costituzione materiale del Paese. Il popolo degli evasori ha un’enorme potere di contrattazione sociale e politica, per la sua trasversalità, quindi crea un rapporto di forza con tutti i partiti”. La responsabilità è di gran parte dei cittadini del Paese, continua Scarpinato, e la politica, “invece di tagliare i costi della corruzione e dell’evasione – che ci costano 180 miliardi l’anno – taglia i costi dello stato sociale, che viene smantellato con le privatizzazioni all’italiana, cioè un’altra declinazione della legalità possibile in Italia: svenderesottocosto, a cordate di private industriali, che poi rivendono con plusvalenze miliardarie, o socializzando le perdite e privatizzando i profitti, come nel caso Alitalia”.

SCARPINATO trova analogie con la situazione greca: “La speculazione ha soltanto dato il colpo di grazia: erano stati i greci a dilapidare le proprie risorse, con un sistema molto simile a quello italiano, e anche per noi la sfida si muove sul terreno ineludibile del ripristino della legalità e del principio di responsabilità. La sfida non è tra destra e sinistra, ma tra l’Italia della rendita e quella dei produttori, la storia dimostra che il nostro Paese non è stato salvato dalle maggioranze, ma dalle sue minoranze evolute – penso al Risorgimento, alla Resistenza, alla Costituzione – che oggi sono orfane, tradite dalle oligarchie partitiche, ma devono organizzarsi, per mettere in salvo il Paese”.

di Antonio Massari
Il Fatto Quotidiano 06.04.2013

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