Il Governo ama dare i numeri. Manipolare a piacimento quelli sull’occupazione è il suo sport preferito. Vediamo allora di riportare un po’ di rigore nel dibattito pubblico.
Partiamo dalle basi: il 2015 è stato un anno particolare nel contesto della Grande Crisi iniziata nel 2008. Il prezzo del petrolio è crollato a una velocità molto più sostenuta di quella prevista dal Governo nei documenti ufficiali. Mario Draghi ha stampato moneta a profusione per tenere in vita la moneta unica e in questo modo si sono abbassati i tassi di interesse sui titoli di Stato. L’euro, infine, si è svalutato nei confronti del dollaro e di altre valute internazionali, favorendo le esportazioni extraeuropee dell’Italia. Questi tre eventi, del tutto indipendenti dall’azione di Governo, hanno permesso all’Italia di uscire dalla recessione, con una crescita molto modesta: +0,8%. Tutti lo sanno, anche se in pochi lo dicono: senza i fattori esterni anche nel 2015 la crescita sarebbe stata negativa. I dati sull’occupazione vanno quindi analizzati in questo contesto eccezionale e sono comunque molto meno rassicuranti di quanto sembri in superficie.
L’aumento degli occupati, infatti, nasconde un lato oscuro strutturale: diminuisce l’occupazione giovanile, sia nella fascia 15-24 anni che in quella, assolutamente decisiva, 35-49. In particolare, nella fascia 15-24 anni si sono persi 7 mila posti di lavoro rispetto al 2014, anno di per sé molto negativo per l’occupazione. Nella fascia 35-49 anni il calo è stato addirittura di 69 mila unità. Il tasso di disoccupazione giovanile si rialza a gennaio 2016 e si avvicina nuovamente alla soglia del 40%, nonostante i 100 mila emigrati italiani del 2015, in massima parte giovani, avrebbero dovuto tenere basso il parametro. Tutta la crescita di cui si vanta il Governo è concentrata sugli over 50, in particolare a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile.
Una crescita di questo tipo non può che essere fragile. L’agonia dell’occupazione giovanile è una realtà terribile sul medio periodo, anche considerando la bassissima qualità dei nuovi posti di lavoro, dato che il Jobs Act ha trasformato gli stessi posti “fissi” in precariato di fatto.
Il tasso di disoccupazione, all’11,5%, rimane a livelli altissimi e non conta i milioni di lavoratori che non cercano lavoro nonostante siano in età lavorativa e sarebbero disposti a lavorare (i cosiddetti “scoraggiati“, che rientrano fra gli inattivi).
Questa condizione ormai strutturale di alta disoccupazione produce distorsioni anche nel bilancio pubblico, come nota la recente relazione della Corte dei Conti. L’Inps ha prodotto disavanzi intorno ai 13 miliardi di euro l’anno sia nel 2013 che nel 2014, mettendo a dura prova il patrimonio netto, sostenuto solo dai trasferimenti dello Stato. Se i 764 mila contratti stabili in più che vanta il Governo fossero nuovi posti di lavoro tutto ciò non accadrebbe, ma la grandissima parte sono semplici trasformazioni di contratti a termine in contratti a tutele crescenti, favorite peraltro da una spesa totale di circa 12 miliardi per la decontribuzione previdenziale alle imprese. Una crescita modesta dei nuovi posti di lavoro, e pure drogata! Quando fra due anni gli sgravi si esauriranno è molto probabile che il tasso di disoccupazione torni al suo livello reale, intorno al 13%, trascinando definitivamente nel baratro l’Inps e il bilancio pubblico. La soluzione del Governo è già sul tavolo: attaccare le pensioni di reversibilità. È solo questione di tempo, ma non lo permetteremo.