La partita sull’ingresso degli organismi geneticamente modificati in Europa si sta giocando nei tribunali, più che nelle sedi democratiche, con un’accelerazione che interessa anche paesi da sempre contrari al transgenico come l’Italia. Ma esistono ancora spazi di mobilitazione contro gli OGM.
Quando il 6 settembre la Corte di Giustizia europea si è espressa a favore della Pioneer Hl Bred Italia srl., dando torto al Ministero delle Politiche agricole italiano – che tentava di impedire l’ingresso nel territorio nazionale di linee pure ed ibride del mais Mon 810, già ammesse a livello comunitario dal 1998 -, molti hanno parlato di una sentenza storica per il rapporto tra il nostro Paese e gli organismi geneticamente modificati.
Il Ministero giustificava, infatti, il rifiuto di far entrare in Italia il mais transgenico sulla base del fatto le regole sulla coesistenza tra semi OGM e tradizionali, previste dal nostro ordinamento, non fossero ancora state approvate. Ma secondo i giudici di Lussemburgo, con l’autorizzazione alla commercializzazione, e poi con l’iscrizione delle varietà derivate nel catalogo comune della Commissione europea, la Pioneer aveva già acquisito il diritto alla distribuzione in tutti paesi dell’Unione, Italia compresa.
Sulla scorta di questa sentenza, altri operatori del settore si stanno mobilitando per farsi spazio nel mercato italiano. Un nuovo procedimento è stato introdotto davanti alla Corte di Giustizia europea proprio in questi giorni e questa volta riguarda non la libera circolazione dei semi OGM, ma la loro messa in coltura.
La causa riguarda infatti una persona tratta in giudizio nel 2012 per aver coltivato in Italia sementi di mais geneticamente modificato, senza avere ottenuto la debita autorizzazione. Secondo il Tribunale di Pordenone, infatti, il via libera di Bruxelles riguarda la sola commercializzazione, mentre per la messa in coltura è necessaria l’autorizzazione della competente autorità nazionale, cui la normativa europea assegna il compito di regolare la coesistenza tra colture Ogm e colture tradizionali. Dall’altra parte, invece, si fa riferimento al caso Pioneer sostenendo che la Corte Ue non si sarebbe pronunciata sulla necessità di avere anche l’autorizzazione dello Stato membro per la messa a coltura.
Per uscire da questa incertezza, il Tribunale penale di Pordenone ha deciso chiedere alla Corte Ue se un Paese dell’Unione – in questo caso l’Italia, ma vale anche per gli altri – sia libero di subordinare le coltivazioni di OGM ad autorizzazione per tutelare il principio di coesistenza, anche nel caso di varietà già iscritte nel catalogo comune europeo. La posta in gioco è altissima: se la causa dovesse dare torto al Tribunale di Pordenone, sdoganata la commercializzazione, si aprirebbe anche alla coltivazione di tutte le varietà geneticamente modificate già approvate a livello comunitario, senza passare per l’approvazione da parte dei singoli Stati. In attesa di conoscere cosa deciderà la Corte di Giustizia europea, esistono almeno tre strade percorribili per mandare un messaggio in difesa dell’agricoltura convenzionale e biologica e per chiedere più autonomia per i Paesi Ue in materia di OGM. Uno: partecipare alla consultazione pubblica sull’agricoltura biologica lanciata dalla Commissione europea e aperta online fino al 15 aprile; il sondaggio è aperto a tutti i cittadini e rispondendo alle domande sulla coesistenza con il transgenico si ha l’occasione per far sentire la propria voce.
Due: dopo la sentenza che ha tolto di divieto di coltivazione del mais Mon810, diversi Stati europei hanno adottato la “clausola di salvaguardia” per bloccare le semine OGM; l’Italia non lo ha fatto, ma alcuni cittadini hanno avviato una raccolta firme per chiedere ai ministri delle Politiche Agricole e della Salute di seguire l’esempio degli altri paesi.
Tre, di maggiore impegno e guardando a più lungo termine: il nuovo commissario europeo alla Salute Tonio Borg ha annunciato che tra le priorità del suo mandato c’è la ripresa del negoziato sulla revisione della procedura comunitaria di autorizzazione degli OGM, bloccato ormai da mesi.
Secondo quanto riportato dal suo portavoce, Borg avrebbe già avviato i colloqui con gli Stati membri contrari alla proposta della Commissione Ue, in particolare con Gran Bretagna, Francia e Germania, e punterebbe a riavviare la discussione tra i 27 già nel corso della presidenza irlandese dell’Unione, che ha iniziato il suo turno a gennaio e lo terminerà alla fine di giugno.
L’Italia si era già espressa a favore della proposta della Commissione, perché lascia più autonomia ai singoli paesi nel limitare o vietare l’ingresso di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Nei prossimi mesi è quindi importante fare sentire la propria voce – associazioni, produttori e singoli cittadini, ciascuno con i propri mezzi – perché il dibattito riparta effettivamente e perché l’autonomia dei paesi in questo campo venga riconosciuta.
Angela Lamboglia
Il Cambiamento