La legge sulle unioni civili ha ripreso il largo, se ne riparlerà la prossima settimana. Ieri mattina il presidente Grasso ha acceso il semaforo rosso e rimandato tutti a casa.
A chi giovi questa ennesima interruzione rispetto ai solenni, ripetuti impegni ad approvare un provvedimento già molto moderato rispetto al contesto europeo, non si capisce.
Certo non alla legge medesima, e neppure a chi aspetta di sapere se le sue scelte di vita resteranno di serie B. Quel che invece è evidente è la ricerca di un compromesso al ribasso, probabilmente lo stralcio delle adozioni, come richiesto dal centrodestra che infatti festeggia il rinvio insieme ai promotori delFamily day fautori dello slogan «affossiamo la Cirinnà, senza se e senza ma».
Di fronte a questo disastro politico-parlamentare, di fronte a questi giochi da furbetti del parlamento, si è levato un coro unanime: tutta colpa dei senatori a 5Stelle che non hanno voluto ingoiare il «canguro» del Pd. Scambiare la democrazia con i diritti però non sta in piedi. Perché mai avrebbero dovuto digerire un boccone così indigesto quando tutto il gruppo, con poche eccezioni, è a favore delle unioni civili e delle adozioni, non viene spiegato.
Del resto il velo di ipocrisia si è squarciato quando la Lega togliendo di mezzo le migliaia di emendamenti ostruzionistici ha offerto ai grillini l’occasione per invitare l’assemblea di palazzo Madama a votare la legge.
Invece si è alzato il capogruppo del Pd, Zanda, e, a corto di argomenti, ha chiesto il rinvio.
Anziché recitare il «mea culpa» per non essere capace di affrontare le proprie divisioni, il partito di maggioranza trova il capro espiatorio scambiando le proprie responsabilità con l’inaffidabilità dei 5Stelle. Che avranno fatto il loro interesse, ma avendo buon gioco di presentarlo come un voler votare subito la legge una volta caduto l’ostruzionismo leghista.
Venuto meno l’alibi, è apparso il nocciolo della questione: nemmeno il partito di maggioranza vuole votare la legge così com’è.
Alcuni pasdaran, sensibili ai richiami di Bagnasco, sono d’accordo con il centrodestra anche nel chiedere il ritorno della legge in commissione. E si capisce l’irritazione di Renzi per la figuraccia. Abituato a risolvere i problemi politici, sia che si tratti di riforme che di diritti civili, sguinzagliando canguri ogni volta che serve tacitare il parlamento, in questa circostanza il meccanismo gli si è rivoltato contro.
Al segretario-premier, più che governare riesce meglio comandare. Lo dimostrano anche le nuove nomine Rai appena sfornate.
Grazie alla riforma della governance, il nuovo direttore generale, Campo Dall’Orto, ha deciso i nomi dei futuri direttori di Rai1, Rai2, Rai3 e RaiSport pescando fuori dall’azienda.
E non si accettano «emendamenti» perché il consiglio di amministrazione di viale Mazzini in sostanza le nomine può solo ratificarle. Per respingerle o modificarle su 9 consiglieri 7 dovrebbero votare contro.
Come sempre alcune scelte sono criticabili, altre imbarazzanti. Nessun rilancio e la solita certificazione che tra le migliaia di dipendenti del servizio pubblico non ci sono né capacità, né competenze.
Non è così, ma anche fosse vero, allora non si capisce perché paghiamo un canone, perdipiù infilato nella bolletta della luce.