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F-35, NOI LI COMPRIAMO IL PENTAGONO SOSPENDE I VOLI

F35IN UN TEST DI ROUTINE IN CALIFORNIA SI SCOPRE UN PROBLEMA ALLE TURBINE DEI CACCIABOMBARDIERI. ENNESIMA DIMOSTRAZIONE CHE IL VELIVOLO NON È AFFIDABILE. MA L’ITALIA LI ACQUISTERÀ LO STESSO

È conosciuto come l’aereo più sofisticato e più costoso di tutta la storia dell’aviazione militare. Ma l’F-35 prodotto dalla Lockheed Martin e di cui l’Italia vorrebbe comprare 90 esemplari, sta raggiungendo anche un altro record: quello di jet più vulnerabile, più delicato e sfortunato che si sia mai visto in circolazione. Da mesi sul programma di realizzazione del velivolo guidato dagli Stati Uniti e a cui partecipano altri 8 paesi consorziati si abbatte una tegola dopo l’altra. Ora tocca al Pentagono infierire un durissimo colpo a tutto il piano del cacciabombardiere. Al termine di un’ispezione di routine condotta in California, il Dipartimento della Difesa ha decretato la sospensione di tutti i voli di prova dell’F-35 perché ha constato un difetto gravissimo: la frattura di una delle lamine della turbina del motore. Un inconveniente che potrebbe addirittura comportare il distacco della pala del reattore e distruggere il motore. Lo stop resterà in vigore fino a che non saranno chiarite le cause del clamoroso vizio e non saranno concluse tutte le prove e le indagini a riguardo compiute da una commissione nominata a tambur battente. Il difetto questa volta riguarda la Lockheed Martin in seconda battuta perché coinvolge in maniera più diretta un’altra azienda famosa nel mondo dell’aviazione mondiale e cioè la Pratt & Whitney, società che fornisce i motori a moltissimi aerei sia militari sia dell’aviazione civile. E’ Pratt & Whitney anche il motore montato sull’F-35.    POCHE settimane fa era emerso un altro grave difetto dell’F-35 anche in quel caso accertato durante le prove. I tecnici del Pentagono si accorsero che a forza di ridurre lo spessore del metallo per rendere il cacciabombardiere leggero e quindi veloce e facilmente manovrabile, le pareti della fusoliera e le parti di rivestimento dei serbatoi    erano diventate così    sottili e vulnerabili che l’areo    sarebbe potuto esplodere in volo se fosse stato colpito da un fulmine. In quel caso il Pentagono dovette emanare una disposizione precauzionale impedendo che le prove dell’F-35 fossero effettuate a una distanza inferiore a 45 chilometri a quella di un temporale. La raccomandazione fu inserita in un voluminoso dossier elaborato dallo stesso Pentagono nel quale erano elencati altri numerosi e stupefacenti difetti del cacciabombardiere. In una recente trasmissione televisiva il giornalista Riccardo Iacona ha intervistato il progettista americano dell’F-16, un caccia di successo prodotto dalla Boeing e usato ormai da diversi decenni dalle forze armate americane. In quell’occasione il tecnico fece un elenco impressionante degli inconvenienti riscontrati nella fase di progettazione e costruzione dell’F-35. A cominciare dal gancio per i modelli alloggiati sulle portaerei e disegnato in modo tale che non riesce a prendere il cavo di frenata o rischia addirittura di tranciarlo al momento dell’atterraggio. Per finire con il software delle componenti elettroniche di bordo.    Di fronte alla sfilza di vizi che di mese in mese emergono intorno all’F-35, i difensori ad oltranza del programma minimizzano sostenendo che non c’è da allarmarsi perché inconvenienti ed elementi da mettere a punto contraddistinguono le fasi preliminari di ogni progetto d’arma, soprattutto quando si tratta di apparecchiature sofisticate e tecnologicamente molto avanzate. Nel caso del cacciabombardiere della Lockheed Martin, però, sembra che da tempo si sia superata la fase di fisiologico affinamento del progetto e si sia entrati in una dimensione patologica.    MOLTI ormai sostengono che l’aereo è nato sotto una cattiva stella, sbagliato fin dalle fasi iniziali di progettazione e che tutto quanto l’impianto sia particolarmente deficitario. Anche in considerazione di questi difetti e dei costi via via crescenti dei velivoli, sette degli otto paesi che partecipano al programma insieme agli Stati Uniti, stanno rivedendo i termini della loro adesione o rinviando la decisione finale di acquisto. Tutti tranne l’Italia.

Daniele Martini
Il Fatto Quotidiano 23 Febbraio 2013

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