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Acqua, il paradosso Irpinia: ne cede troppa e non basta

Ponte della LavandaiaLe reti fatiscenti e la siccità hanno aumentato il fabbisogno locale

Il regime idrologico degli acquiferi e dei corsi d’acqua è direttamente legato a diversi parametri meteo climatici, soggetti a loro volta a fluttuazioni che possono essere influenzati dai cambiamenti del tempo. L’incremento della temperatura, ad esempio, favorisce l’evapotraspirazione, riducendo le acque per il ruscellamento e l’infiltrazione, così come le variazioni nella distribuzione stagionale delle precipitazioni originano cambiamenti nel regime dei deflussi. Le elaborazioni su scala globale evidenziano un aumento della temperatura di almeno un grado centigrado nell’ultimo secolo, mentre le previsioni future per il 2100 indicano un ulteriore aumento di tre – cinque gradi: per le precipitazioni si osservano spostamenti delle fasce climatiche con trend continentali diversificati. Nella regione mediterranea l’aumento di temperatura appare più marcato, mentre le precipitazioni sono caratterizzate da una tendenza all’ aumento dell’intensità oraria.
Relativamente alla Campania e all’Irpinia si osservano aumenti della temperatura coerenti con quelli osservati in Italia, mentre si rileva una riduzione delle precipitazioni nelle zone interne ed un accentuato incremento dell’intensità degli scrosci di pioggia nelle zone costiere tirreniche. Il regime di falde e sorgenti non coincide con le esigenze dell’utenza. Infatti, i periodi d maggiore domanda idrica corrispondo ai periodi siccitosi, mentre nei periodi di minore richiesta spesso si registrano fenomeni piovosi intensi. Quindi, la domanda idrica non viene sempre soddisfatta perché la risorsa non è distribuita in modo adeguato nel tempo. Nei periodi di magra o di siccità, il bilancio disponibilità-fabbisogni è deficitario mentre nei periodi di piena esiste un surplus idrico. L’analisi e la relativa elaborazione delle serie idrologiche, confrontate con i dati dei modelli idrologici statistici sviluppati sulla base dello storico, evidenziano un deficit idrico delle acque di approviggionamento, con ripercussioni sul sistema idrico profondo utilizzato a scopo idropotabile in coincidenza del periodo estivo-autunnale. Tali circostanze sono da considerarsi per il comprensorio irpino, non più sporadiche o eccezionali, ma nell’ultimo ventennio sono diventate la norma. Il consistente e globale abbassamento della superficie piezometrica delle falde idriche si fa ancora più preoccupante se connesso con la realtà di reti idriche di distribuzione comunali molto fatiscenti che disperdono tra il 40 ed il 50 % dell’acqua prelevata dagli acquiferi. Ormai da anni, per fronteggiare i sempre crescenti consumi idrici connessi sia alla maggiore richiesta da parte dell’utenza sia anche al progressivo deterioramento delle reti costituenti i vari sistemi acquedottistici, si è fatto ricorso alla captazione di nuovi fonti idriche, piuttosto che ristrutturare e risanare i sistemi idrici di adduzione e trasporto. Ciò ha comportato e comporta la dispersione di svariati milioni di metri cubi all’anno del prezioso liquido che, in tal modo, viene sottratto all’alimentazione del flusso di base dell’intero reticolo idrografico presente nella provincia di Avellino.
Quali sono, quindi, le azioni da intraprendere per poter garantire con continuità nell’arco dell’intero anno l’appriovvigionamento idropotabile delle popolazione? In questo contesto risulta difficile individuare risorse idriche integrative, sostitutive e di emergenza che possano essere adibite esclusivamente a questo scopo. Inoltre, occorre tener presente che, in caso di bisogno, queste risorse devono essere immediatamente disponibili e, per essere tali, devono essere già collegate con le reti acquedottistiche in esercizio.
L’esecuzione di detti collegamenti può comportare la realizzazione di opere di captazione e, spesso, Piana-del-Dragone1-300x150di sollevamento di particolare rilevanza economica, al pari della costruzione di addutrici acquedottistiche. Si tratta, in genere, di opere di entità tale da non poter essere costruite solo in attesa di un eventuale utilizzo occasionale, stante il loro progressivo deterioramento. La soluzione del problema è più complessa e deve elaborarsi in funzione delle peculiarità specifiche del comprensorio d’interesse, sia in relazione alle caratteristiche idrogeologiche del territorio che in dipendenza degli schemi acquedottistici esistenti.
La consapevolezza dell’importanza dell’acqua per lo sviluppo socio-economico dell’intero Paese ha spinto il legislatore, sin dagli anni sessanta del secolo scorso a promuovere, su scala nazionale, il Piano (Prga), approvato con decreto presidenziale (Dpr) il 3 Agosto 1968. Il Piano programmava integrazioni negli apporti idrici per assicurare i fabbisogni giornalieri previsti proprio al corrente anno, il 2015. Al tempo venne attribuito scarso peso alla circostanza che, in particolare nel Mezzogiorno, la ciclicità idrometrica comportasse periodici deficit o eccessi di precipitazione, reti idricherischiosi per cause diverse. Non si è stati altresì lungimiranti nella predisposizione di un piano di ammortamento dei costi per la periodica sostituzione delle reti di trasporto. In tale contesto, in considerazione della diminuzione della disponibilità di risorsa nei corpi idrici superficiali e sotterranei, ora è indispensabile che le attività di previsione e monitoraggio siano affiancate a incisive ed efficaci azioni di prevenzione, contrasto e mitigazione che, se pianificate, possono ridurre in modo significativo i possibili effetti delle eventuali crisi idriche sulla popolazione, sulle colture agricole e sul sistema produtivo.
Occorre dunque intervenire strutturalmente, con un massiccio risanamento e in molti casi da sostituire radicalmente, in considerazione della cronica assenza di finanziamenti, gli ultimi dei quali risalgono alla ex Cassa per il Mezzogiorno. Il recupero di queste perdite idriche potrebbe aumentare il deflusso idrico nel reticolo idrografico dell’intero comprensorio. Infatti, l’assenza di adeguate precipitazioni nel periodo autunnale ed invernale e l’uso delle sorgenti captate esclusivamente per scopi idropotabili, mette inevitabilmente in crisi l’intero ecosistema fluviale con conseguenti ripercussioni anche di ordine igienico e sanitario. Nella provincia di Avellino sono state censite circa 1400 sorgenti di portata generalmente varibiali, comunque spesso inferiore ad un litro al secondo. Trattasi, quindi, di elementi di modesta entità che non risolvono la complessa problematica descritta, ma che possono assumere importanza considerevole nell’ipotesi di un riassetto e di una riorganizzazione ottimale della gestione del servizio idrico nell’area irpina.
La possibilità di utilizzare le piccole emergenze sorgentizie non ancor sfruttate e di riqualificare le esistenti opere di captazione, spesso obsolete ed inadeguate, potrebbe consentire di far fronte alla crescente domanda di risorsa.
Gran parte di queste sorgenti potrebbero, quindi, essere recuperate quali utili fonti integrative degli sorgenti cassano irpinoschemi acquedottistici principati destinati all’approvvigionamento idrico dei numerosi centri rurali ed anche ai fini irrigui. Se ne gioverebbe anche lo sviluppo socio-economico della provincia, che trova inadeguate le previsioni sui consumi idrici, tant’è che le aliquote relative ai fabbisogni all’anno 2015, previste nel già citato e vigente Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, sono state già abbondantemente raggiunte ed, in moltissimi casi superate.
Determinante risulterà la verifica di coerenza del nuovo Piano elaborato nel 2008. Tale verifica, delibarata dalla giunta regionale ad aprile 2015, è fondamentale per una razionale gestione futura delle risorse idriche. Il predetto strumento di programmazione del ciclo idrico delle acque della Campania definisce i criteri e le linee di indirizzo per: la pianificazione degli interventi finalizzati alla sostenibilità del bilancio idrico nel medio periodo, nonché alla salvaguardia dei corpi idrici sotterranei; la pianificazione dei nuovi interventi inerenti al ciclo idrico integrato,con particolare riferimento ai sistemi di captazione, adduzione, collegamento e depurazione; la variazione degli interventi già programmati e l’aggiornamento dei piani d’ambito.
Dalle risultanze degli studi di carattere idrogeologico condotti su tutti i massicci montuosi (acquiferi), emerge che il problema delle acque in Irpinia va affrontato partendo innanzitutto dal bilancio idrico complessivo tra il fabbisogno, i prelievi e la risorsa idrica disponibile. Da un corretto bilancio idrico scaturisce la necessità di una rivisitazione delle concessioni per la derivazione di acque pubbliche in atto. In sostanza, occorre riequilibrare il rapporto tra le aliquote idriche che allo stato risultano disponibili per la provincia di Avellino con quelle emergenti in Irpinia e destinate ad altre aree territorialmente limitrofe. In particolare, è necessario che degli importanti gruppi sorgivi di Cassano Irpino e del Serino venga riservata per la provincia di Avellino una adeguata aliquota idrica. L’attuale portata, pari a 600 litri al secondo,derivata dal gruppo sorgivo di Cassano Irpino non è, infatti, più sufficiente a soddisfare la domanda idropotabile dei territori irpini e sanniti.
In particolare la predetta portata idrica dovrà essere integrata con almeno altri 400 litri al secondo.

Sabino Aquino (Geologo)
Il Mattino di Avellino 07.06.2015

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