Nicola Morra ha intervistato il giudice Piercamillo Davigo sul tema della corruzione e della legalità
Test di integrità per scoprire i corrotti
Morra: Allora giudice, nel ’92 inizia mani pulite. Da allora voi come magistrati avete fatto un lavoro notevolissimo e pur tuttavia ancora non si è riusciti a estirpare la corruzione, soprattutto nei pubblici uffici. Qual è a sua avviso la causa di tutto ciò? E come si può intervenire per sradicare del tutto?
Davigo: La ragione principale è che l’attività della politica degli ultimi anni non è stata quella di rendere più difficile commettere reati di corruzione, ma è stata quella di rendere più difficili le indagini sulla corruzione, sono state cambiate le norme (a favore degli autori dei reati!); sono state azzerate le prove acquisite e sono stati introdotti vari ostacoli. E’ evidente quindi che se si rende più difficile la repressione della corruzione, è ovvio che aumentino i casi di corruzione stessa e diminuiscano le condanne, che è esattamente quello che è accaduto in Italia. Oggi la situazione rischia di essere fuori controllo: il numero dei fatti, la loro gravità, l’alto numeri di persone coinvolte in questi fatti, richiede strumenti straordinari. Io sono convinto che la soluzione o una delle soluzioni, potrebbe essere quella di introdurre quello che gli anglosassoni definiscono il “test di integrità”, cioè le operazioni sotto copertura in questa materia. Negli Stati Uniti io mi sono sentito fare questa osservazione: “Ma voi in Italia fate le indagini sulla corruzione?” E alla mia risposta affermativa mi hanno detto: “Ma no, ma è troppo difficile.” E allora io sorpreso, chiesi: “Ma perchè voi non intervenite? Li lasciate rubare?” e loro, di tutta risposta: “No, noi facciamo il test di integrità. Significa che subito dopo le elezioni mandiamo la polizia sotto copertura a offrire denaro agli eletti e quelli che li prendono vengono arrestati. Per cui a ogni elezione ripuliamo la classe politica”. E’ una soluzione che potrebbe essere ancorata magari a elementi indiziali già forti, come per esempio la sperequazione fra i redditi e i tenori di vita, per essere sicuri di andare a individuare persone che già sono sospettabili.
Mose, Expo, MafiaCapitale: le nuove tangentopoli
Morra: Quindi test di integrità e massima trasparenza possibile. L’idea di un politometro poteva anche essere efficace. Io sono convinto per esempio che tutti gli ufficiali pubblici debbano dar conto di quello che guadagnano e consumano. Giudice però con gli scandali degli anni 90 che hanno funestato la partitocrazia dell’epoca ci fu una reazione popolare molto feroce, indignata. Io ricordo molto bene che tantissimi italiani seguivano giornalmente i collegamenti con la procura di Milano perchè volevano aver notizia. Adesso invece sembra che MOSE, EXPO, MafiaCapitale, siano seguiti quasi con distrazione perchè quasi ci si è fatti l’idea che queste patologie siano inestirpabili dal costume italico. Le sembra corretta questa analisi? E’ come se ci fossimo assuefatti?
Davigo: Io credo che più che assuefatta l’opinione pubblica sia rassegnata, nel senso che essendo state vanificate molte volte le speranze di un miglioramento della situazione, ritenga inevitabile ciò che sta accadendo. Però bisogna tener presente che uno dei problemi principali che scoraggia gli investimenti dall’estero che determina il malfunzionamento della pubblica amministrazione sono il crimine organizzato e la corruzione. Se l’Italia non affronta questi due problemi drammatici non uscirà mai dalla situazione di difficoltà in cui si trova, anche nei rapporti con gli altri paesi. Non dobbiamo mai dimenticare che al contrario di quello che si è raccontato per diverso tempo, l’Italia non è affatto un paese insicuro, però ha due forme molto gravi di criminalità: uno è il crimine organizzato, l’altra è la devianza delle classi dirigenti che in queste misure sono tipiche solo dell’Italia. Noi esportiamo criminalità organizzata in altri paesi che ce l’hanno perchè l’abbiamo portata noi. Così come in altri paesi per atti di gravità infinitamente minore rispetto a quelli che ogni sera apprendiamo dai notiziari televisivi, le persone vengono costrette alle dimissioni. Da noi restano al loro posto fino a quando non vengono i carabinieri a prenderli!
Le norme anticorruzione non esistono
Morra: Giudice un’ultima domanda. Da circa nove mesi il cosiddetto pacchetto anticorruzione giace in Senato, ogni tanto viene ripreso, ogni tanto poi viene bloccato e di fatto le aspettative relative all’approvazione di nuove norme che con vigore contrastino la corruzione vengono puntualmente deluse. Di cosa c’è necessità, anche, per esempio, a livello parlamentare? Come si può fare per far sì che il paese si doti di norme certe? Anche perchè gli ultimi avvenimenti di natura parlamentare e ministeriale raccontano di manine che introducono norme, come dire… “opinabili”, rimanendo sull’eufemismo…
Davigo: Anche qui io credo che se ci fosse una maggiore sensibilità da parte dei parlamentari, soprattutto alle pressioni che vengono dalla comunità internazionale, la quale da molto tempo chiede all’Italia di fare pulizia della sua classe dirigente e ci chiede l’attuazione delle convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto, a cominciare da quella dell’OCSE sulla corruzione transnazionale, a quella dell’ONU sulla corruzione, da quella del Consiglio d’Europa sempre sulla corruzione, di introdurre una serie di normative che riducano il fenomeno a fisologia, dando per scontato che la situazione italiana non è affatto fisiologica. Del resto negli indici di percezioni siamo agli ultimi posti in Europa.
L’importanza della cultura
Morra: Quindi da questo punto di vista dobbiamo sperare che l’Europa rappresenti una via d’uscita e non una causa di ulteriore aggravamento della situazione. Un ultimissimo quesito, di natura… cultural-morale: lei che per tanti anni ha dedicato la vita all’amministrazione della giustizia, cosa pensa si possa e si debba fare in termini di investimenti culturali per far fare al nostro paese questo benedetto “salto di qualità”? Perchè io noto che proprio in termini di percezione della corruzione e anche dell’effettività delle norme noi anche nelle piccole cose siamo ormai rassegnati a veder sempre chi evade la norma, chi viola la norma a farla franca. C’è proprio un atteggiamento diffuso.
Davigo: C’è un problema molto serio che riguarda anche le istituzioni scolastiche. Io racconto sempre che pur essendo andato alle scuole elementari in un piccolo comune della provincia di Pavia dove sono nato, alle scuole elementari ho ricevuto una formazione culturale di tipo mafioso, perchè quando il maestro usciva di classe, lasciava al capoclasse l’incarico di segnare sulla lavagna i buoni e i cattivi. Il capoclasse andava alla lavagna a tirare una riga, scriveva i buoni e i cattivi sottolineati, solo sulla base di rapporti clientelari: chi gli dava il cioccolato, chi gli dava gli pallone, cose di questo genere. I cattivi non li segnava mai. Se qualcuno esagerava nel fare baccano, dopo averlo richiamato varie volte, cominciava a scrivere le prime lettere del cognome dei cattivi e immancabilmente dai banchi arrivava il grido “SPIA“! Ora, quando si è spia? Si è spia rispetto al nemico invasore, si è spia rispetto al tiranno. Non si è spia rispetto alla legittima autorità del proprio paese. Nessuno di noi aveva mai dubitato che il maestro fosse investito di legittima autorità. E che anche il capoclasse, ancorchè fetente, fosse investito di legittima autorità per delega del maestro. Ma in quel contesto il grido “spia” diventava apologia dell’omertà che è uno dei pilastri fondanti della cultura mafiosa. Cioè non importa che quello sia davvero cattivo, tu non lo devi scrivere. C’è però di più e di peggio. Sono stato ovviamente studente anche io e ho dovuto verificare sula base dei miei ricordi che era vero quello che diceva l’onorevole Andreatta e cioè che la scuola italiana crea pessimi studenti abituati a coalizzarsi fra di loro a danno dell’insegnante e in prospettiva saranno pessimi cittadini perchè il rapporto insegnate-studenti è metafora del rapporto Stato-cittadini. Una volta negli Stati Uniti mi hanno raccontato una cosa a cui ho stentato a credere. E allora mi hanno portato in una scuola per convincermi che era vero. La cosa a cui non ero disposto a credere era che gli insegnanti dessero esercizi da fare a casa a tempo. Per cui gli studenti andavano a casa, mettevano il contaminuti e allo scadere del tempo smettevano di fare l’esercizio che stavano facendo e tornavano a scuola il giorno dopo con il compito al punto in cui erano arrivati. Ora, andai in questa scuola e la prima cosa che mi colpì fu lo stupore di insegnanti e studenti per la mia incredulità, cioè non riuscivano a capire perchè io non volessi credere a una cosa che per loro era ovvia. E poi mi hanno spiegato perchè funzionava così, dopo che io dissi a loro guardate che da noi non è così, se a noi viene data una ricerca da fare a casa vengono mobilitati parenti e affini fino al quindicesimo grado per far fare una bella ricerca allo studente. E mi spiegarono che da loro nessuno copia. Se qualcuno non sa una cosa si alza e chiede spiegazioni all’insegnante. Al mio stuopore mi spiegarono che questo accade, intanto perchè non c’è il valore legale del titolo di studio e quindi non conta ciò che uno è ma ciò che uno sa, ma soprattutto gli esami importanti nella vita non sono come da noi quelli di uscita da un ciclo scolastico, ma quelli di entrata e di ammissione al ciclo scolastico successivo. Esami che gli studenti faranno davanti a persone che non hanno mai visto. In quel contesto l’insegnante è l’allenatore che li prepara alle prove vere che faranno davanti a qualcun’altro. Ingannare non ha alcun senso. Io non so se la loro scuola sia migliore della nostra, magari no, non è questo. Ma la loro scuola insegna la lealtà. La nostra insegna la furbizia.
Morra: anche da questo punto di vista c’è molto da lavorare. Giudice, la ringrazio.