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La Banca di papà Boschi e l’affare delle “Popolari”.

boschiLA CONSOB INDAGA SULLE SPECULAZIONI LONDINESI FATTE A MARGINE DEL DECRETO DI GOVERNO SUGLI ASSETTI SOCIETARI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO.

Una manina da Londra ha gettato una rete a Piazza Affari e pescato a strascico le Popolari con un tempismo perfetto: giorni prima dell’approvazione della riforma voluta da Matteo Renzi che abolisce il cosiddetto voto capitario e le trasforma in società per azioni. Un tempismo che ha già svegliato la Consob, ora impegnata a ricostruire gli scambi. Un’operazione di verifica non certo semplice, perché dalla piazza inglese si stendono anche le reti dai paradisi fiscali, e che rischia di causare guai decisamente seri all’esecutivo Renzi nel caso tra i vari investitori internazionali attivi sul mercato individuasse il fondo Algebris di Davide Serra, amico, foraggiatore nonché guru finanziario del premier.
IL FONDO speculativo dell’ex manager Morgan Stanley ha infatti base a Londra. La banca che ha maggiormente beneficiato dello strascico anglosassone è la Popolare dell’Etruria e del Lazio, di cui vicepresidente è Pier Luigi Boschi. Sì, il papà di Maria Elena, ministro delle Riforme nonché direttore generale della fondazione Open che negli ultimi anni ha ricevuto 150 mila euro proprio da Serra. I cerchi, spesso, si chiudono   Il ministro ha partecipato alla seduta del 20 gennaio in cui è stato approvato il testo del decreto legge sulle popolari, mostrando il fianco a polemiche su un evidente conflitto di interessi. Caso vuole che pochi giorni prima Movimento 5 Stelle, Sel e una parte del Pd abbiano ritirato fuori e riproposto una legge presentata nel novembre 2013 che all’epoca piaceva tanto anche a Matteo Renzi. Una proposta di legge avanzata da Pippo Civati per introdurre il conflitto di interessi e il conseguente civati2divieto di partecipare al voto “qualora il coniuge, la persona stabilmente convivente, un parente o un affine entro il secondo grado sia preposto alla cura ai sensi del comma 4 (in qualità di rappresentante, amministratore, curatore, gestore, procuratore, consulente o in altra posizione analoga, ndr) di un interesse economico privato tale da poter condizionare l’esercizio delle funzioni pubbliche inerenti alla carica ricoperta”. La proposta, come nel novembre 2013, è stata messa in un cassetto.
Intanto da Londra compravano. Salvando la popolare dell’Etruria, dove oltre al padre lavora anche il fratello di Maria Elena, Emanuele. Gli acquisti sono iniziati il 15 gennaio. Il decreto, battezzato “investment compact”, è stato annunciato a mercati chiusi il 20 gennaio ma le indiscrezioni erano iniziate a circolare sin dal 16 e il 19 l’agenzia di stampa Reuters ha anticipato il piano nei dettagli.
IN QUATTRO GIORNI la Banca Popolare dell’Etruria ha registrato un balzo del 66 per cento, nonostante i ripetuti stop alla negoziazione per eccesso di rialzo, mettendo fine così ad anni di profonde difficoltà che l’hanno portata sull’orlo del commissariamento. Nel gennaio 2010, un’azione valeva 10,69 euro, mentre il 12 gennaio scorso ha registrato il minimo storico: 0,358 euro.   Non che i vertici non abbiano tentato di rivitalizzare l’istituto, anzi: le hanno provate tutte. Un aumento di capitale da 100 milioni appena un anno fa, poi il tentativo (fallito) di fusione con la popolare di Vicenza, la ricerca (andata a vuoto) di nuovi soci di peso per trasformarsi in Spa. Tutto inutile. Tanto che il Cda a novembre ha approvato i conti consolidati dei primi 9 mesi chiusi con una perdita netta
di 126,1 milioni. E appena un mese dopo la pop ha presentato un durissimo piano di ristrutturazione, annunciando 410 esuberi e tagli al personale per 32 milioni di euro, oltre alla creazione di una bad bank nel tentativo di liberarsi dei crediti deteriorati. Non solo, dal 2012 la banca è stata al centro di due ispezioni della Banca d’Italia che si sono concluse nel novembre 2014 con una multa complessiva di 2,54 milioni di euro. La maxi sanzione è a carico di 18 tra componenti ex componenti del collegio sindacale e del cda, tra cui Pier Luigi Boschi. A lui gli ispettori di via Nazionale hanno comminato una sanzione di 144 mila euro per “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”. Da inizio 2013, inoltre, la sua posizione, come quella degli altri amministratori dell’istituto, è al vaglio delle procure di Arezzo e Firenze.   LONDRA DUNQUE, ma anche Palazzo Chigi. Sarebbe importante sapere come si è sviluppato l’iter del decreto. Ieri il Corriere della Sera ha ricostruito che inizialmente il provvedimento era contenuto nel ddl Concorrenza, parcheggiato al ministero per lo Sviluppo economico e in attesa di seguire il normale iter parlamentare. Renzi ne ha prelevato a sorpresa l’articolo sul voto capitario e l’ha inserito nel decreto Investment compact. Chi era al corrente di quanto stava facendo il premier? Mario Gerevini ieri dal Corriere ha chiesto “per quante mani è passato il testo?”. Ma soprattutto: in quali è finito?

Davide Vecchi
Il Fatto Quotidiano 25.01.2015

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