REPORT CERVED Il 20%di quelle vive nel 2008 oggi non c’è più e ora “altre 24 mila rischiano il default”: hanno debiti finanziari per 71 miliardi di euro.
Le storie alla fine sono tutte uguali e tutte diverse: il fatturato che crolla, i clienti che non pagano, le banche che smettono di prestarti i soldi. A volte conta più un fattore, a volte un altro, ma è così che da sei anni muore la Piccola e media impresa del nostro Paese, uno specifico del capitalismo italiano che oggi è come una bomba a orologeria piazzata al centro del sistema economico.
MOLTI economisti, negli anni della doppia crisi (2008-2009 e 2011-tempo presente) hanno sottolineato che le Pmi e le microimprese sono il buco nero della produttività italiana, fanno poca ricerca e sviluppo, investono poco: il discorso è complicato e non sempre questi rilievi sono giustificati, ma resta il fatto che le Pmi sono l’ossatura del nostro sistema imprenditoriale.
Il primo Rapporto Cerved sulle PMI, uscito da pochi giorni, ce lo ricorda coi numeri. Intanto la definizione: sono piccole e medie imprese le aziende con meno di 250 addetti e un fatturato inferiore a 50 milioni di euro (o un attivo inferiore a 43 milioni) che non ricadono nella definizione di microimprese (non hanno cioè meno di 10 addetti e un giro d’affari inferiori a due milioni). Con questi criteri, le Pmi italiane attive in questo momento sono in tutto 143.542: circa 119 mila sono piccole imprese, 25 mila medie. Se si contano anche le micro e quelle con forma giuridica diversa si arriva a 3,3 milioni di imprese, di gran lunga il numero maggiore in Europa (il 17,2 per cento del totale, mentre la Germania, per capirci, si ferma al 10,2per cento).
IL PESO delle PMI sull’economia italiana, conseguentemente, è enorme: queste 140 mila e dispari aziende, infatti, producono un fatturato di 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 180 miliardi e incidono dunque per il 12 per cento sul Prodotto interno lordo. Non solo: danno lavoro a quasi 4 milioni di persone. Anche il peso relativo è enorme: dice l’Istat su dati 2012 che le Pmi italiane producono il 37,4 per cento del valore aggiunto (la media Ue è 36,3), le microimprese aggiungono il loro 29,6 (contro 21,2% medio europeo) e le grandi imprese solo il 33 per cento (contro 42,3 dell’Unione a 28).
Tenendo presente questo è più facile capire quanto pesi il contenuto del Rapporto Cerved: non solo il sistema delle Pmi, tradizionalmente più debole, ha pagato un contributo in termini di vite d’impresa più alto, ma sta continuando a farlo.
SPIEGA Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved: “È una fase molto delicata per il sistema delle Pmi italiane: la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato con successo la prima fase della crisi e che stanno pagando il conto sia al credit crunch sia a una domanda da troppo tempo stagnante”. I numeri sono impressionanti. Il 20 per cento delle Pmi attive nel 2008 è oggi fuori dal mercato: 13 mila sono fallite, più di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale e 23 mila sono state liquidate volontariamente. I bilanci delle altre – mediamente – sono peggiorati: i margini lordi sono calati di 31 punti, il numero di chi registra una perdita non è mai stato così alto. È anche così – pezzo a pezzo, capannone dopo capannone – che il Pil crolla: oltre 9 punti rispettoal 2007. Pure i teorici della distruzione creatrice, in questo caso, dovrebbero evitare di esultare: ormai stanno uscendo dal mercato pure aziende sane, con ordini in portafoglio e prospettive di guadagno. È una tempesta a cui non segue mai il sereno: una vera ripresa, dicono le stesse previsioni del governo, non arriverà prima del 2016. Scrive il Cerved: “A fronte della generale tenuta dei bilanci, le negative condizioni macroeconomiche hanno aumentato il rischio medio di insolvenza delle PMI: a parità di qualità del bilancio , si è innalzata la probabilità di default”.
E NON È COSA da prendere sottogamba: “Con il perdurare di domanda stagnante e di scarsa disponibilità del credito, le PMI italiane continueranno a soffrire e l’ondata di uscite dal mercato osservata negli ultimi anni non si arresterà (…) Esistono 24 mila società ad alto rischio che potrebbero entrare in default nei prossimi mesi e che sono esposte per 71 miliardi di euro verso il sistema finanziario” (su 271 miliardi totali del sistema Pmi). In percentuale fa il 16 per cento delle Piccole e medie imprese con oltre il 26 per cento dei debiti finanziari complessivi del settore. Le aziende saranno anche piccole, ma il botto rischia di essere grosso: forse le banche italiane dovrebbero svegliarsi.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 12.11.2014