Se ogni cittadino italiano si chiedesse “in nome di che cosa spende tutti i soldi che guadagna, passa le sue ore in auto e poi in ufficio?”, e “a chi vanno i frutti della sua passione, della sua competenza, dei suoi sforzi?”, una somma di sensazioni sgradevoli potrebbe portare alla formazione di una nuova consapevolezza condivisa.
Il signor Rossi è uno di noi. Sposato, una quarantina d’anni, formazione medio alta, un figlio. Si sveglia nel suo trilocale arredato con mobili svedesi. Vive appena fuori dalla grande città dove lavora. E così inizia la sua giornata.
Se l’è montati da solo i mobili svedesi, per risparmiare. Pare che lo svedese sia l’uomo più ricco del mondo, ma adesso vive in Olanda. O qualcosa del genere.
Il pensiero lo fa alzare dal letto con una sgradevole sensazione, che non sa descrivere.
Bacia sua moglie, sveglia suo figlio. Beve un caffè. Non sa e forse non gli importa da dove viene. L’hanno comprato sabato, al supermercato dal nome francese che hanno costruito proprio là dove c’era un bel campo. Hanno comprato tante cose, con lo sconto. Ma la frutta e la verdura non hanno più lo stesso sapore. Indossa i suoi abiti made in Bangladesh, comprati in saldo in una catena di abbigliamento economico ma molto alla moda spagnola. O forse svedese. O forse di Treviso.
Saluta la moglie che va al lavoro, carica suo figlio in macchina, lo porta al nido: è privato, 700 euro al mese (metà dello stipendio del signor Rossi) perché in quello comunale non c’erano più posti (quando esce, alle 16.30, va a prenderlo la nonna, bontà sua).
Risale in macchina e imbocca la tangenziale. Usa l’auto perché non ci sono treni buoni per portarlo in ufficio: gli orari non coincidono, sono sempre in ritardo, sono sempre affollati. Si ferma a fare benzina in una stazione di servizio: l’insegna è familiare, ma oggi gli fa venire in mente una storia di tangenti, un Paese in Africa, e qualcos’altro che non ricorda. Come tutte le mattine, è in coda. Come tutte le mattine, si guarda attorno e si rivede in tutti gli altri automobilisti: soli nelle loro auto, la maggior parte parla al telefono. Lo prende anche lui: la marca è statunitense, è un oggetto di design cui è difficile resistere. Ma l’hanno fatto in Cina, con materiali che vengono da tutto il mondo. Anche dall’Africa, gli pare di ricordare. Anche la multinazionale del telefonino gli fa venire in mente una questione di tasse ed evasione. Chissà. Lui l’ha pagato a rate, il telefonino, direttamente nella bolletta del telefono. La compagnia telefonica è asiatica. Chiama il pediatra, per l’asma del figlio. Dice di portarlo più spesso al mare, o in montagna. Magari, dottore, magari.
Arriva in ufficio: il suo lavoro gli piace, anche se non guadagna molto. È assunto, e di questi tempi c’è solo da ringraziare: deve pagare l’affitto al padrone di casa, che a dire il vero è il proprietario di tutto il palazzo e a dire il vero la casa è intestata alla figlia del cugino.
L’altro giorno l’ha chiamato per le spese condominiali, al padrone di casa, e questo ha risposto da Zanzibar. Sempre meglio che dare soldi a una banca, si dice il signor Rossi. Al quale la banca il mutuo non ha voluto darlo. Che poi quella banca è quasi fallita, se non era per il Governo. In affitto va via lo stipendio della moglie. A fine mese anche il suo è bello e finito. Guarda la busta paga e sa che quasi la metà dei soldi se n’è andato in tasse, prima di arrivare sul suo conto.
Quella sgradevole sensazione riaffiora: come spendono i miei soldi? si chiede, ma ad alta voce. Comprano F35, fanno condoni agli evasori, fanno pagare meno tasse a chi costruisce autostrade inutili che non userai mai o trivellare le coste per estrarre petrolio da consumare in auto prodotte in stabilimenti dove gli operai sono in cassa integrazione a spese dello Stato, gli risponde un collega, impassibile.
Al signor Rossi a quel punto si forma come una bolla dentro, che piano piano sale e alla fine affiora ed esplode, diventando una domanda: in nome di che cosa? In nome di che cosa spende tutti i soldi che guadagna, passa le sue ore in auto e poi in ufficio? A chi vanno i frutti della sua passione, della sua competenza, dei suoi sforzi?
Nessuno sa qual è l’identità del signor Rossi. Ma il signor Rossi sa chi è. E sa che l’identità non è l’essenza di una persona. Anzi, non esiste l’identità, bensì esistono modi diversi di organizzarne il concetto. L’identità va continuamente costruita, perché non è fissa: non è qualcosa da scoprire. L’identità dipende invece dalla nostre decisioni.
L’identità è un fatto di decisioni.
di Pietro Raitano
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