Il governo del “Fare” diventa ogni giorno di più quello del “faremo“. Sulla scuola, dopo un’estate di anticipazioni e dichiarazioni, Renzi (e non il ministro-non pervenuto Giannini, come sarebbe stato opportuno) ci svela la sua riforma per la scuola. Anzi, no. Perché non si tratta né di una riforma, né di un piano, come avevano strombazzato lui e il ministro dell’Istruzione. Alla fine ci troviamo di fronte a “un patto“. Alla faccia dell’inversione a “u”.
Un patto che il presidente del Consiglio definisce “semplice e concreto”. Più che semplice a noi, che della scuola ci occupiamo seriamente, sembra sempliciotto. Ma è sulla concretezza che partono le grasse rissate, purtroppo amare.
Non si capisce cosa ci sia di concreto in un annuncio, nel quale si parla di un patto i cui primi provvedimenti normativi dovrebbero essere presentati solo l’anno prossimo, senza una data fissata, per i quali le coperture sono tutte da trovare e verificare.
Riguardo all’assunzione di 150 mila docenti per il 2015, la misura ci troverebbe favorevoli se non fosse che suona tanto simile alla leggendaria sparata di “un milione di posti di lavoro” fatta dal suo compagno di riforme. Tutto questo mentre il Governo getta la spugna (e la maschera), rimandando a chissà quando la soluzione dell’assurda vicenda dei Quota 96. Noi, molto più realisticamente e con coperture alla mano, abbiamo da tempo proposto 150 mila nuove assunzioni in tre anni.
Tra l’altro Renzi chiede ai docenti, “in cambio” dell’assunzione, di accettare che in futuro siano i presidi a poter scegliere direttamente gli insegnanti. Non si capisce dove starebbe lo scambio: finalmente mi garantisci un diritto e la fine di un calvario e vuoi anche che scenda a compromessi?
Assegnare questo potere discrezionale ai presidi è un’altra pensata degna del gelataio matto. Le graduatorie, per quanto migliorabili, garantiscono un criterio di obiettività. Il potere decisionale ai presidi aprirebbe al rischio di clientelismo e nepotismo, fenomeno di cui il Paese non ha ulteriore bisogno.
Ancora, ricordiamo a Renzi che pagare di più gli insegnanti che più fanno è una misura già presente nel mondo della scuola, come ad esempio nel caso di insegnanti impegnati nel realizzare progetti extracurriculari.
La presunta visione meritocratica della scuola che il premier ci vuole propinare in realtà e privatistica e aziendalistica: valutazione di insegnanti e scuole basata su quiz, ingresso dei finanziamenti privati (per supplire alle carenze del pubblico?), competizione tra scuole. Quest’ultima, danneggerà soprattutto quelle in contesti più deboli. La meritocrazia è stato lo slogan-truffa della Gelmini per dissanguare l’università, salvo lasciare il baronato in piedi. Ora Renzi usa la stessa arma contro la scuola, per eliminare gli scatti stipendiali. Che affare: 80 euro in cambio di un taglio da centinaia di euro.
L’unico, vero, dato concreto di questa riforma-piano-patto è che le carte si scopriranno solo con la Stabilità e poi se ne riparla nel 2015. E passa un altro anno. Quello giusto, per cercare di restare in sella a suon di chiacchiere.
Le commissioni Cultura del M5S Camera e Senato