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E tu quanta acqua consumi?


acqua_alfuturo_manifestoCinquemila litri all’anno se mangi carne, la metà se sei vegetariano. Lo scienziato Tony Allan, ospite a Firenze del convegno internazionale ‘Acqua al futuro’, lancia l’allarme sull’impronta idrica della nostra alimentazione. E propone: sulla confezione di ogni cibo, si scriva la quantità di H20 che ci è voluta per produrlo.

Cinquemila litri d’acqua al giorno. Tanto beve un italiano medio che compra spesso carne rossa. Beve o mangia, perché l’acqua di cui si parla qui non è solo liquida: è nelle cose. 1700 litri in una tavoletta di cioccolato, 1260 in una pizza, 130 in una tazza di caffè. E’ l’acqua “virtuale” teorizzata da Tony Allan, professore emerito al King’s College di Londra, inventore dell’idea di “impronta idrica” dei nostri consumi e ospite il prossimo 5 giugno al premio “Giardino Bardini” di Firenze.«Il 90 per cento dell’acqua che consumiamo è incorporata nel cibo che mangiamo», spiega Allan: «Questo perché la coltivazione e l’allevamento ne richiedono vaste quantità. E’ quella che noi chiamiamo “acqua alimentare”, ed è persa per sempre». Da vent’anni ormai il professore inglese cerca di spiegare al mondo perché le aziende dovrebbero essere costrette a dichiarare la loro “impronta” sull’ecosistema, smettendo di sfruttarlo come se fosse inesauribile ed aiutando tutti (gli agricoltori in primo luogo) a rendere più efficiente il consumo delle risorse naturali. Si chiama “terza riga finale” del bilancio, e significherebbe costringere le aziende ad indicare il costo ambientale di ogni prodotto: «E’ una profonda sfida politica», sostiene Allan: «Promossa da scienziati e attivisti fin dagli anni ’70. Non chiediamo che di tenere conto delle tre dimensioni di ogni attività: quella economica, quella sociale e quella ambientale».
Gli agricoltori o gli allevatori però, insiste il professore, non possono essere lasciati soli a trovare nuovi metodi con cui limitare gli sprechi di una risorsa preziosa come l’acqua. Sono gli stati e le aziende che si riforniscono da loro a doverli aiutare: «Negli ultimi anni la domanda di acqua è aumentata più che mai», continua Allan: «Con pressioni enormi sugli ecosistemi idrici naturali, causati soprattutto dell’aumento demografico».Ora ci troviamo così, dice il professore, di fronte a un nuovo possibile fallimento del sistema capitalistico, accelerato dalla crisi finanziaria: «I player della filiera alimentare che comprano le materie prime dagli agricoltori fanno ossessivamente a gara per fornire cibo a basso costo», spiega Allan: «Cosa che si può ottenere solo se non si paga il prezzo dello sfruttamento degli ecosistemi idrici. Nessuno è ancora riuscito a convincere i consumatori a riconoscere l’importanza della natura». La giovane designer italiana Angela Morelli ci ha provato, spiegando la nostra impronta idrica quotidiana con un’infografica che non lascia spazio a dubbi. «Promuovere il concetto di “acqua virtuale” significa far capire che la conservazione dell’acqua come risorsa e la sicurezza alimentare sono strettamente connesse fra loro», continua Allan: «Un italiano che mangia carne spesso lascia un’impronta di circa 5000 litri d’acqua al giorno. Un vegetariano ne consuma soltanto 2500, la metà». Per produrre una caloria di cibo infatti, secondo i calcoli del suo dipartimento, serve circa un litro d’acqua.

Considerando che un uomo mediamente ha bisogno di 2500 calorie al giorno e una donna di 2000 il conto è semplice. «Le strutture dei governi e le relative agenzie per la ricerca scientifica non hanno ancora adottato l’idea che l’acqua alimentare, così rilevante dal punto di vista strategico, sia parte integrante delle filiere alimentari», accusa il professore: «E ci sono ben pochi indizi che facciano sperare in un cambiamento. L’Italia dovrebbe unirsi alle organizzazioni non governative che stanno cercando di sensibilizzare su un consumo attento e salutare del cibo».

di Francesca Sironi
l’Espresso.it

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