Cinquemila litri all’anno se mangi carne, la metà se sei vegetariano. Lo scienziato Tony Allan, ospite a Firenze del convegno internazionale ‘Acqua al futuro’, lancia l’allarme sull’impronta idrica della nostra alimentazione. E propone: sulla confezione di ogni cibo, si scriva la quantità di H20 che ci è voluta per produrlo.
Gli agricoltori o gli allevatori però, insiste il professore, non possono essere lasciati soli a trovare nuovi metodi con cui limitare gli sprechi di una risorsa preziosa come l’acqua. Sono gli stati e le aziende che si riforniscono da loro a doverli aiutare: «Negli ultimi anni la domanda di acqua è aumentata più che mai», continua Allan: «Con pressioni enormi sugli ecosistemi idrici naturali, causati soprattutto dell’aumento demografico».Ora ci troviamo così, dice il professore, di fronte a un nuovo possibile fallimento del sistema capitalistico, accelerato dalla crisi finanziaria: «I player della filiera alimentare che comprano le materie prime dagli agricoltori fanno ossessivamente a gara per fornire cibo a basso costo», spiega Allan: «Cosa che si può ottenere solo se non si paga il prezzo dello sfruttamento degli ecosistemi idrici. Nessuno è ancora riuscito a convincere i consumatori a riconoscere l’importanza della natura». La giovane designer italiana Angela Morelli ci ha provato, spiegando la nostra impronta idrica quotidiana con un’infografica che non lascia spazio a dubbi. «Promuovere il concetto di “acqua virtuale” significa far capire che la conservazione dell’acqua come risorsa e la sicurezza alimentare sono strettamente connesse fra loro», continua Allan: «Un italiano che mangia carne spesso lascia un’impronta di circa 5000 litri d’acqua al giorno. Un vegetariano ne consuma soltanto 2500, la metà». Per produrre una caloria di cibo infatti, secondo i calcoli del suo dipartimento, serve circa un litro d’acqua.
Considerando che un uomo mediamente ha bisogno di 2500 calorie al giorno e una donna di 2000 il conto è semplice. «Le strutture dei governi e le relative agenzie per la ricerca scientifica non hanno ancora adottato l’idea che l’acqua alimentare, così rilevante dal punto di vista strategico, sia parte integrante delle filiere alimentari», accusa il professore: «E ci sono ben pochi indizi che facciano sperare in un cambiamento. L’Italia dovrebbe unirsi alle organizzazioni non governative che stanno cercando di sensibilizzare su un consumo attento e salutare del cibo».
di Francesca Sironi
l’Espresso.it