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Roberto Perotti – “I fondi Ue nutrono mafia e malaffare”

Roberto Perotti - EconomistaQuello dei fondi europei è uno scandalo che va avanti da almeno vent’anni, nel silenzio di tutti. Grillo ha ragione da vendere”.

Il tema è complesso e Roberto Perotti, economista e docente alla Bocconi di Milano, in passato consigliere economico del premier Matteo Renzi ha deciso di dedicargli un rapporto dettagliato, che verrà pubblicato oggi sulla rivista lavoce.info. Oltre 30 pagine di analisi e confronti, con un responso netto: “Tutto quello che, con fatica, abbiamo ricevuto finora, l’abbiamo sprecato. Non un solo euro è stato speso bene”. La ricetta è la stessa avanzata due mesi fa dalle pagine del Sole 24 Ore: “Non diamo soldi a Bruxelles, così non rischiamo di vederli finire nelle mani dei maestri dello spreco, in un sottobosco politico parassitario”.

 

 Beppe Grillo si è spinto anche oltre, ha chiesto all’Europa di non dare più i soldi all’Italia perché scompaiono in tre regioni: Sicilia, Calabria e Campania, quindi “mafia, ‘ndrangheta e camorra”.

Ha ragione da vendere, sono soldi che alimentano la mafia, ma non solo: una mangiatoia gigantesca per sindacati, assessorati regionali e provinciali. La metà si occupa solo di gestire questi fondi.

 Gli esperti parlano di centinaia di progetti sopra la soglia dei 50 milioni di euro, oltre la quale i passaggi burocratici si moltiplicano.

Magari fosse questo il problema. Molti dei soldi che riceviamo non servono a niente anzi, sono dannosi. Sa finora come li abbiamo spesi?

Come?

Per i corsi di formazione delle regioni, soprattutto quelle del sud: 550 mila per un totale di 7,5 miliardi di euro, praticamente tutto il Fondo sociale europeo (Fse), la parte più cospicua dei fondi strutturali. Tutti finiti in uno dei pozzi neri delle risorse pubbliche.

 Gli enti di formazione e i corsi delle regioni non brillano in efficienza, ma non è un po’ esagerato?

Abbiamo mai verificato l’efficienza di queste strutture e i risultati dei progetti finanziati?

Ci sono tanti centri studi che fanno analisi su queste tematiche.

Sono centinaia, ma la tragedia è che sono parassitari anche loro, cresciuti a rimorchio delle strutture che avrebbero dovuto monitorare. Le ricerche sono fatte malissimo e non danno alcun responso. Sono serviti? Chi esce da questi corsi trova lavoro? Hanno un impatto sulla disoccupazione giovanile? La risposta è no.

 L’altra parte dei fondi strutturali è composta dal Fondo di sviluppo regionale (Fesr).

Che si occupa di finanziare le imprese in fase iniziale (start up, ndr): soldi gestiti da burocrati che ragionano con criteri da burocrati e che non hanno mai messo piede in un’azienda privata. Se lei guarda la regione Lazio, vedrà che la spesa supera quella di una legge finanziaria. Perfino i comuni hanno il loro fondo, Milano e Roma hanno a disposizione dieci milioni di euro l’anno. Soldi gestiti da uomini di scienza e cultura che non hanno idea di cosa siano le start up.

 Eppure la regola del cofinanziamento (fatto 100, cinquanta ce li mette l’Europa e 50 l’Italia) avrebbe dovuto responsabilizzarci.

L’idea originale era quella, ed era ottima. Il problema è che le regioni non mettono un euro, paga tutto lo Stato. Però i soldi dei fondi se li prendono tutti loro.

 Non basterebbe semplicemente spenderli meglio?

È la grande balla che ci raccontiamo da anni. La struttura che è sorta per gestire questi fondi lo rende impossibile. Nessuno riesce a districarsi tra piani europei, nazionali e regionali. Centinaia di documenti stilati per fissare obiettivi che nessuno rispetta. La soluzione è una sola.

 Quale?

Noi diamo più di quanto riceviamo. Bruxelles ci dà un euro e noi ci mettiamo un altro euro, quindi la spesa raddoppia. Rinunciamo ai fondi – che ci costano 5-6 miliardi l’anno – e in cambio diminuiamo per lo stesso importo gli stanziamenti che diamo al bilancio europeo. L’effetto netto è zero.

 Da Bruxelles hanno già bocciato questa ipotesi.

I Paesi del Nord ci appoggerebbero. Bisogna andare a Bruxelles a batter i pugni sul tavolo, non per ottenere una generica flessibilità per investimenti che vengono buttati nelle grandi opere inutili, ma per non ricevere più i fondi europei.

di Carlo Di Foggia
Il Fatto Quotidiano 03.07.2014

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