La geologa Colella lancia l’allarme: le esplorazioni mettono in pericolo le falde acquifere.
Mentre nel Sannio la Regione Campania ha già autorizzato le esplorazioni petrolifere e in Irpinia nascono nuovi comitati spontanei – come quello di Gesualdo in assemblea oggi che si aggiunge al Comitato No Petrolio in Alta Irpinia – in Val d’Agri, territorio non dissimile dall’Alta Irpinia, si tirano le somme sugli effetti delle trivellazioni sugli acquiferi. Albina Colella, ordinario di geologia presso l’Università della Basilicata, tra i primi a denunciare tali rischi, recentemente consultata anche da Report nel suo approfondimento sull’Eni in Val d’Agri, conosce bene l’impatto delle attività di estrazione petrolifera sull’ambiente. <<I giacimenti petroliferi – afferma Colella – si trovano nel sottosuolo a profondità generalmente superiori rispetto alle falde acquifere che, dunque, vengono attraversate dalle trivellazioni, con i conseguenti rischi di inquinamento. L’attività di trivellazione può inquinare sia le acque sotterranee che quelle superficiali e ciò sembra avvenire soprattutto per irregolarità operative non trascurabili ed omissioni di procedure pur codificate come difetti di impermeabilizzazione dei pozzi, non corretto impiego dei fanghi di perforazione che contengono bentonite, barite ed ematite, fessurazioni nelle camicie dei pozzi e invasi dovuti a fenomeni meteorologici avversi. Se regole internazionali e codici di buona pratica vengono, troppo spesso, aggirate o trascurate e per ragioni di interesse commerciale e per guadagnare tempo. L’inquinamento delle acque superficiali e dei suoli può essere dovuto anche alla grande quantità di acque di produzione – cioè acque che coesistono con l’olio e il gas nel giacimento petrolifero – che rappresentano la principale sostanza di scarto della trivellazione petrolifera e hanno grandi costi di smaltimento oltre a contenere elementi tossici (IPA, metalli pesanti, residui radioattivi, etc.) per le specie viventi. Gli scarti della trivellazione petrolifera includono inoltre fluidi idraulici, oli usati, sversamenti di carburante, frammenti di rocce trivellate, additivi di fanghi di trivellazione come il bario che, se non gestiti adeguatamente , possono essere rilasciati nell’ambiente causando grave inquinamento>>. Ma quali sono stati i danni ambientali riscontrati in Val d’Agri, un’area ad alta vulnerabilità ambientale che presenta analogie con l’Irpinia per il grado di sismicità, la ricchezza delle acque sotterranee e superficiali, le attività agricole di pregio e le aree naturalistiche protette? <<I pozzi petroliferi – dichiara Colella – attraversano numerosi acquiferi dell’area e alcuni sono proprio nell’area di ricarica dove le precipitazioni meteoriche penetrano nel sottosuolo e vanno ad alimentarli. L’attività petrolifera, notoriamente molto impattante sull’ambiente, dovrebbe essere condotta con le procedure più accurate e codificate, con studi preliminari di dettaglio del sottosuolo e con monitoraggi continui. Invece in Val d’Agri si sono verificati episodi di grave inquinamento di aria, acqua, suolo e prodotti agricoli, tutti compatibili con l’attività petrolifera. Nelle acque e sedimenti dell’invaso artificiale del Pertusillo, che fornisce acqua ad uso umano alla Puglia e alla Basilicata, e dista 2,5 km dal centro Oli di Viggiano sono state trovate concentrazioni di idrocarburi fino a 32 volte superiori (6.458 microgrammi/litro rispetto a un limite consentito di 200) e metalli pesanti superiori ai limiti di legge. Nel 2012 qui sono stati identificati e campionati anche liquami rossi contenenti alte concentrazioni di idrocarburi e metalli pesanti, che fuoriuscivano dal sottosuolo poco a valle di pozzi petroliferi. A novembre l’Acquedotto Pugliese ha trovato idrocarburi e bario finanche nelle acque “già potabilizzate” e, nel 2011, l’ARPAB ha rilevato alte concentrazioni di elementi tossici e cancerogeni nelle acque sotterranee intorno al centro Oli. Il 5 aprile 2011 una ventina di operai della Elbe Italia Sud srl, vicino al Centro Oli hanno avvertito capogiri e nausea, in seguito sembra ad una fuga di idrogeno solforato dallo stabilimento Eni. L’economia locale ha subito dei danni: la gente ha smesso di comprare i prodotti agricoli e lamenta che il valore commerciale delle abitazioni si è notevolmente abbassato. Infine le emissioni di idrogeno solforato dal Centro Oli sembrano aver causato anche problemi alle coltivazioni della zona>>.
Virginiano Spiniello
Il Mattino 4 gennaio 2013