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“Zitti tutti”, il 40% del Premier rottama il dissenso interno

direzione_nazionale_pdDIREZIONE DEMOCRATICA SENZA CHE VOLI UN FIATO TUTTI GLI OPPOSITORI RINGRAZIANO IL SEGRETARIO VINCENTE ACCORDO IN VISTA ANCHE SU ITALICUM E RIFORMA DEL SENATO.

 Eadesso ci sono gli iscritti a parlare…”. Sandra Zampa, che siede ai banchi della presidenza della direzione del Pd, dopo l’intervento di Matteo Renzi, prova a dar vita alla discussione. “Nooooo”, l’ululato sorge spontaneo dalla platea. Dopo l’intervento del leader-trionfatore, che in una mezz’oretta o poco più, ha commentato il voto, dato le linee guida del futuro, abbracciato tipo grande padre il passato del partito e gli ormai ex dissidenti interni, in effetti c’è poco da dire. Il 40,8% parla chiaro. E Renzi lo sa così bene che mantiene l’atteggiamento che ha scelto da domenica notte, quando ha mandato davanti alle telecamere “il gruppo dirigente” (così lo chiama anche ieri), senza neanche apparire in prima persona.
LUI ORMAI non ha bisogno di provocare, rottamare, asfaltare. Gli basta limitarsi ad accogliere magnanimamente quelli che vogliono andare a lui. “Trovo allucinanti le polemiche per la foto di gruppo: non c’è nessun salto sul carro, ma un partito che è convinto di poter discutere al proprio interno con serenità”, dice. Toni di questo tipo nel Pd, quello che ha consumato le sue faide interne durante le elezioni del presidente della Repubblica, bruciando pure Prodi, il padre fondatore, non s’erano mai sentiti. Né s’erano mai sentiti toni come quelli usati in questi giorni da coloro che fassinafurono di Renzi gli acerrimi nemici. Se è per “Fassina chi?” (citazione Renzi) così parlava ieri a Repubblica: “Renzi l’avevo sottovalutato”. Perché “è l’uomo giusto al posto giusto”. Se è per Paola De Micheli, tra le fedelissime di Letta, sempre la prima a dar voce alle peggiori accuse nei confronti dell’allora pericolo numero uno, così la metteva con il Messaggero: “Un partito del 40% non può essere fondato sulle correnti”. Sarà un caso ma è tra le favorite nella corsa alla presidenza dell’Assemblea. E Gianni Cuperlo, lo sfidante all’ultimo congresso, che dopo una direzione in cui gli si ricordava di non aver fatto le primarie per diventare parlamentare, da Presidente si dimise? “L’impatto di Renzi su questo risultato è stato decisivo. Riconoscerlo è un atto di umiltà. Ma ora tutto il partito deve marciare unito”, diceva all’Unità. La fine del dissenso interno si consuma sui giornali, perché in direzione si dà già per assodato. Tant’è vero che il segretario-premier annuncia per l’Assemblea del 14 giugno la nuova segreteria indicando la linea della “gestione unitaria”. In passato, le minoranze avevano chiesto garanzie sul loro eventuale ruolo e il loro peso. Ieri il fu bersaniano Davide Zoggia semplicemente annunciava: “Entreremo in segreteria”. Se qualcuno ha dei dubbi sulle magnifiche sorti progressive del renzismo se li tiene rigorosamente per sé o li esprime a bassa voce, per lo più secondo la formula: “Però, ci siamo anche noi”.
Renzi racconta quello che ha intenzione di fare. Prima di tutto, il lavoro che “è la madre di tutte le battaglie”. Il lavoro secondo Poletti, è chiaro. Poi, ci sono le riforme. Il premier sia sulle riforme costituzionali, che sull’Italicum, è pronto a concedere qualche modifica. La presentazione degli emendamenti in Senato è stata spostata a martedì: si lavora a un accordo. E l’Italicum “va approvato prima dell’estate, ma non per andare a votare”. Quel 40,8% serve al premier per capitalizzare sulle riforme, ma se qualcosa andasse storto, Renzi è pronto al voto. Tra i fedelissimi c’è chi giura che potrebbe arrivare al 50%.
Non mancano i progetti per il partito, come le scuole di formazione, dove bisognerà studiare anche le serie tv americane perchè “imparare un racconto è importante”. E “Matteo” lo sa bene che la politica ai giorni nostri è prima di tutto la costruzione di un racconto avvincente e convincente. Un romanzo, al quale casomai i fatti si agganciano. “Il 40% è un accidente della storia o un obiettivo stabile?”. Una “domanda retorica”. Perché deve diventare “casa” per i dem. Perché, citando il “mitico Mike, non è il momento di lasciare ma raddoppiare”. Anche questo un omaggio non casuale: un allora occhialuto e giovanissimo Renzi partecipò alla Ruota della fortuna, sbaragliando i concorrenti. Esperienze che formano.
E allora, per dirla tutta, altro che raddoppio: “Siamo il partito della nazione”. E altro che dibattito: dopo il leader ci sono 4 o 5 interventi perlopiù di giovani sconosciuti. Bersani, Veltroni e D’Alema se ne vanno alla chetichella. I delegati chiacchierano. Non c’è più nulla da dire. Almeno per ora.
di Wanda Marra
Il Fatto Quotidiano 30.05.2014

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