Mentre i principali media si concentrano, senza eccezioni degne di nota, sulle incipienti scadenze elettorali e sulle discese – o salite – in campo di nuovi o vecchi soliti noti, l’AEEG, Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, assesta indisturbata un ulteriore e spudorato colpo alla volontà popolare espressa per via referendaria.
Con la delibera 585/2012/R/IDR, varata con tempismo encomiabile il 28 dicembre, e titolata “Regolazione dei servizi idrici: approvazione del metodo tariffario transitorio per la determinazione delle tariffe 2012-2013” l’AEEG ha infatti reintrodotto sotto mentite spoglie la remunerazione del capitale investito nella bolletta del servizio idrico, violando palesemente il risultato emerso dal referendum del giugno 2011.
Con la seducente nomenclatura di “costo della risorsa finanziaria”, l’Autorità permette di fatto di reinserire nella tariffa una percentuale di profitto per il gestore, possibilità invece abrogata dal secondo dei quesiti referendari promossi dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e che ha avuto l’avallo di oltre il 95% dei 27 milioni di cittadini che hanno espresso il proprio voto.
La deliberazione è stata resa possibile dal fatto che l’AEEG, organismo indipendente istituito nel ’95 col compito di “tutelare gli interessi dei consumatori e promuovere concorrenza, efficienza e livelli di qualità nella fornitura dei servizi” ha acquisito grazie all’arcinoto decreto Salva Italia, convertito poi in legge, competenze specifiche anche in materia di servizi idrici.
Si discute da mesi di come allargare la base democratica della partecipazione attraverso primarie, parlamentarie e consultazioni popolari più o meno rappresentative, dimenticando – guarda un pò – che un primo passo dovuto sarebbe garantire il rispetto della volontà popolare espressa attraverso l’unico strumento vincolante di democrazia diretta previsto nella nostra costituzione: il referendum abrogativo.
Non è la prima volta che in periodo di ferie, con una soglia di attenzione mediatica più bassa, si tenta invece di ribaltare il risultato referendario. Era già accaduto con il decreto del governo Berlusconi nell’agosto 2011, dichiarato in seguito incostituzionale, che appena due mesi dopo il referendum reintroduceva nella sostanza lo stesso precetto abrogato dal primo quesito dando nuova spinta ai processi di privatizzazione del servizio idrico.
Contro la decisione dell’AEEG è in mobilitazione il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua – FIMA, che ha diffuso tempestivamente un comunicato di denuncia sulla decisione accusando l’autorità di palese violazione del portato referendario. A ciò si unisca che nulla era stato fatto dai gestori del servizio idrico per adeguarsi al referendum stornando dalla bolletta il 7% previsto come remunerazione del capitale. Un’inattività colpevole cui il FIMA aveva a suo tempo risposto lanciando una “campagna di obbedienza civile” per l’autoriduzione delle bollette da parte dei cittadini.
Oltre alla violazione del referendum, il meccanismo previsto dall’AEGG, basato sul mercato creditizio, metterebbe inoltre a rischio gli ingenti investimenti necessari al servizio idrico, stimati in circa 2 miliardi annui per i prossimi 20/30 anni.
Il FIMA ha definito, nell’ultima riunione nazionale di coordinamento tenutasi poco prima di Natale, un’agenda di azioni e mobilitazioni da mettere in campo per fronteggiare quella che definisce “una sospensione democratica gravissima”. Tra esse, una giornata di mobilitazione nazionale prevista per il 25 gennaio prossimo con manifestazioni e presidi in tutti i territori e due giornate di pressione sulle forze politiche a livello locale e nazionale fissate per l’8 e 9 febbraio. Infine, il via ad una istruttoria legale per verificare i termini del ricorso legale da presentare al Tar della Lombardia, dove l’AEEG ha sede.
In definitiva è evidente la volontà di imporre con lo strumento “tecnico” della delibera amministrativa un indirizzo politico preciso: un’impostazione fortemente orientata alle privatizzazioni e di stampo fulgidamente neoliberista, rafforzata ulteriormente dai provvedimenti del governo Monti e base politica dell’agenda con la quale il professore si candida a guidare nuovamente il paese.
Poco importa alle forze politiche e ai media che ciò avvenga in barba alla grande movimentazione sociale che da anni in Italia discute di beni comuni e di come gestirli in maniera pubblica e partecipata, sottraendoli alle logiche di mercato e agli imperativi del profitto. Un campo, quello dei beni comuni, che è pronto ad affilare le sue armi e a rilanciare attraverso una campagna di informazione e di mobilitazione che difenda e approfondisca il grande (e disatteso) portato politico del referendum del 2011.
Marica Di PierriAttivista e giornalista,
presidente Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali l’Uffington Post