A Cassano e Caposele perdite record . Virtuosi solo i grandi centri.
Duemilasettecento chilometri, tra condotte, tubazioni e collettori (compresa la parte del Sannio) si presentano come veri e propri scolapasta. La più grande ricchezza dell’Irpinia viene così dissipata per due terzi, causando un duplice effetto negativo: al danno provocato dal mancato utilizzo dell’oro blu, si somma la beffa del fisiologico e inarrestabile aumento dei costi, di gestione e consumo. Costruite a partire dalla seconda metà degli anni ’50, con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, le condotte hanno subìto gli ultimi interventi all’indomani del terremoto del 23 novembre 1980, in considerazione degli ingenti danni subìti.
Da allora,eccettuate sporadiche iniziative tampone, sempre dell’Alto Calore, il buio. Oggi, stando agli ultimi rilievi del 2012, l’Irpinia scialaqua in media il 60% della sua risorsa idrica. Il picco più alto, quasi inverosimile, si registra nel Comune di Teora, dove si arriva al 90%. Per conto, l’Eldorado delle reti idriche si snoda lungo il curioso e insolito binomio Sirignano-Cairano, dove gli sprechi non superano il 20%.
Nel mezzo, però, è lunghissimo l’elenco dei comuni in emergenza. Con uno sperpero compreso tra il 70 e l’80%, ce ne sono ben 18. Tra questi Montella, Volturara, Montemarano, Castelvetere, Cervinara, Savignano e Greci. Altri 29 Comuni disperdono tra il 60 e il 70% di acqua. I maggiori sono Montemiletto, Montefalcione, Montecalvo, Chiusano, Frigento, Lioni e San Martino Valle Caudina. Grottaminarda, Flumeri, San Sossio Baronia, Altavilla, Pratola Serra, Atripalda, Cassano, Nusco, Conza e Caposele, stanno appena meglio, e si attestano tra il 50 e il 60%.
Il dato di riferimento dei grandi comuni, invece, è il 45%. E’ il caso di Avellino, Calitri, Sant’Angelo dei Lombardi e Mercogliano. Meglio dei grandi centri, con il 30%, altre 20 amministrazioni, variamente dislocate tra Zungoli, Trevico, Bisaccia,Bagnoli, Morra de Sanctis, Monteverde, Avella, Pago Vallo Lauro, Monteforte, Montoro Inferiore e Solofra. Nettamente al di sopra della media nazionale, che oscilla intorno al 45%, l’Irpinia è dunque lontanissima da quella stabilita dalla cosiddetta letteratura idrica, che ammette una percentuale di dispersione compresa tra il 15 e il 20%. Ovvero, a fronte di un fabbisogno complessivo di 1500 litri di acqua al secondo, (125 al giorno per abitante) l’Alto Calore è costretto a sollevarne dai bacini esterni e pomparne nelle reti circa 2300.
Le punte massime delle perdite si raggiungono in Alta Irpinia. Qui infatti, l’aggressività dei terreni, particolarmente argillosi, determina l’erosione delle condotte, per lo più di ghisa centrifugata, innescando un processo elettrochimico che finisce per forarle. A questo punto, l’acqua si disperde nella terra e nelle fogne, dove può essere anche recuperata, oppure ristagna in superficie. Talvolta, nelle tubature squarciate si forma del terreno. In questo caso l’Acs finisce spesso per riscontrare inquinamento da colliformi fecali, ma può ugualmente intervenire, chimicamente, per depurare l’acqua. Ulteriori fattori di danneggiamento delle reti sono, infine, la pressione, che all’interno può raggiungere le 15 atmosfere e negli acquedotti esterni arriva a 70, e la tipologia delle condotte che, se in ghisa, sono riparabili con il polietilene. A questo tipo di sprechi, definiti di tipo tecnico, si aggiungono quelli amministrativi, dovuti cioè al blocco dei contatori oppure ai cosiddetti sfiori, che si verificano quando si raggiunge un livello massimo di acqua nei serbatoi.
Redazione
Il Mattino di Avellino 07.03.2014