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A Senigallia sono preoccupati: Matteo, e i soldi?

SenigalliaIL PREMIER ARRIVÒ IN CITTÀ ALL’INDOMANI DELL’ALLUVIONE, ORA IL SINDACO GLI HA SCRITTO: IL GOVERNO PASSI DALLE PAROLE AI FATTI.

 A Senigallia cominciano a essere un tantino preoccupati. Sono passate tre settimane dall’alluvione che ha messo in ginocchio la città e ucciso tre persone e da palazzo Chigi ancora non si è sentita una voce, un progetto, un tintinnare di monete. E pensare che Matteo Renzi la sera del 4 maggio, il giorno dopo il disastro, era già sul luogo. Arrivò in elicottero, rassicurò amministratori e cittadini, spese belle parole per la città: “Conoscendo la laboriosità e la forza della gente di Senigallia sono certo che la città sarà in grado di riprendersi e di tornare alla normalità già a partire dall’inizio della stagione turistica”. Di fronte a qualche malfidato, che chiedeva subito i soldi, il premier spiegò: “Prima faremo il censimento dei danni, poi, compatibilmente con le difficoltà che abbiamo nei vari territori, ci sarà l’impegno da parte del governo”.
INSOMMA, IL 4 MAGGIO era “prematuro ragionare del quantum: da qui a sabato sarà una settimana operativa con la Protezione civile”. E non solo: quella settimana, infatti, a Senigallia si fecero vedere i ministri della Sanità, dell’Agricoltura e dell’Ambiente. Da allora, in zona è rimasto solo il capo della Protezione civile Franco Gabrielli e – nonostante ormai i danni siano stati conteggiati e la città ripulita dal fango e dai detriti – dei soldi del governo non si vede neanche l’ombra. Persino quattro senatori del Pd eletti nelle Marche (Fabbri, Amati, Morgoni e Verducci) hanno ormai cominciato a sentire puzza di bruciato e hanno depositato una mozione per impegnare il governo almeno a dichiarare subito lo stato d’emergenza e a stanziare le risorse per i primi interventi. Si pensava che il giorno buono – visto che l’elenco dei danni è arrivato a palazzo Chigi già il 16 maggio – fosse il Consiglio dei ministri di giovedì mattina e invece niente: l’unico stato di emergenza è stato deliberato per le alluvioni… in Bosnia Erzegovina e Serbia (permette alla Protezione civile di dare una mano in opere e “missioni”).
Dal governo fanno sapere che è tutto a posto, che il provvedimento arriverà a breve nonostante le difficoltà. E di difficoltà ce ne sono eccome. Il Fondo per le emergenze di palazzo Chigi, infatti, è vuoto e il conto di Franco Gabrielli per l’alluvione del 3 maggio ammonta alla non disprezzabile cifretta di 360 milioni in tutto: metà per Senigallia e il resto per i comuni limitrofi. Quei soldi vanno trovati in qualche modo dentro un bilancio 2014 già messo a dura prova per scovare le coperture del bonus da 80 euro voluto da Matteo Renzi.
LA SITUAZIONE, insomma, è complicata e più di qualcuno comincia a dubitare che si possa, renzianamente, “tornare alla normalità già a partire dall’inizio della stagione turistica”. Lo stesso sindaco di Senigallia, Maurizio Mangialardi, dopo un momento di iniziale trasporto emotivo per il presidente del Consiglio, sembra preso dai dubbi, tanto è vero che giovedì pomeriggio ha fatto in modo di lasciar trapelare la lettera che ha inviato proprio a Renzi una decina di giorni fa. “Oggi, a meno di due settimane dall’alluvione, la sistemazione delle vie, la rimozione dei rifiuti e la pulizia delle strade sono giunte a compimento”, scrive il sindaco al premier: “La nostra parte l’abbiamo svolta fino in fondo”. E ancora: “Abbiamo creato le condizioni per raggiungere questi obiettivi, ma a questo punto dipende da voi. Al governo nazionale chiediamo pertanto di tradurre la vicinanza dimostrata in questi terribili giorni in provvedimenti concreti”. Tradotto: è ora di passare dalle parole ai fatti, anzi ai soldi. “Ci servono ora, non possiamo aspettare settembre”.
Gli interventi più urgenti riguardano – per il momento – il rinvio del pagamento delle tasse, l’attivazione della cassa integrazione in deroga per le aziende del territorio (in attesa della riapertura), modifiche ai patti di stabilità comunale e regionale per consentire di spendere soldi che esistono, ma sono bloccati dai vincoli di bilancio. Tutta roba che ha bisogno, ovviamente, di copertura finanziaria. Solo che nell’ordinamento italiano, ad oggi, non è previsto che si aiutino i territori colpiti da calamità naturali, ma solo se entro un certo limite di spesa. A rifare la legge, comunque, c’è sempre tempo: il governo Monti ci provò, per dire.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 25.05.2014

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