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Ecco come il governo è riuscito a salvare il carrozzone Aci dal tracollo

modulo-aci-praIl decreto sulla Spending review prevedeva l’abolizione del Pra, una tassa occulta da 200 milioni l’anno. Ma venerdì scorso la norma è stata sfilata all’ultimo minuto, scampando il potente club dalla débacle. Grazie anche ai buoni uffici del ministro Lupi, candidato alle europee e attento a non perdere voti nella sua Milano.

Il 20 marzo il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, era stato chiaro: « Accorperò Aci e Motorizzazione ». Il 10 aprile il suo vice, Riccardo Nencini, aveva rincarato la dose: « Ci sono resistenze ma elimineremo il Pra ». « Via il Pra dopo 20 anni! » cinguettava felice qualche ora dopo il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova. E in effetti la scomparsa del Pubblico registro automobilistico gestito dall’Automobile club d’Italia (Aci) – una tassa occulta costata 191 milioni nel 2012 – sembrava cosa fatta, stando alle bozze del decreto sulla spending review.Quando però venerdì 18 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento, di quella norma non c’era più traccia. Magicamente sparita, nonostante fino a poche ore prima fosse ancora lì, nero su bianco. Che cosa è accaduto? Che la “lobby dell’auto”, in grado di smuovere poteri formidabili non appena i suoi interessi rischiano di essere toccati, l’ha spuntata ancora una volta. Grazie a un braccio di ferro dalle ramificazioni politiche che l’Espresso è riuscito a ricostruire ed è in grado di raccontare.UNA STORIA ITALIANA
Doveroso passo indietro: solo in Italia esistono due diversi registri automobilistici. Uno per la carta di circolazione (rilasciata dalla Motorizzazione civile, ovvero il ministero dei Trasporti) e l’altro per il certificato di proprietà, rilasciato dal Pra (cioè l’Aci). Risultato, tutto raddoppiato: i documenti, i costi di gestione, le tasse per gli automobilisti per ogni singola operazione, dall’immatricolazione alla vendita fino alla rottamazione. Nonostante vari tentativi bipartisan, l’abolizione del Pra – istituito nel lontano 1927 ai tempi del fascismo – si è sempre rivelata impossibile: ci hanno provato nell’ordine un referendum dei radicali nel 1995 (inammissibile per la Consulta), i ministri Giulio Tremonti, Antonio Di Pietro e (per ben due volte) Pier Luigi Bersani, nel 2000 e nel 2007, ai tempi delle cosiddette “lenzuolate”. E ogni volta la lobby, che può contare un discreto numero di parlamentari, si è messa di traverso. Anche il commissario Carlo Cottarelli, nelle sue proposte per la revisione della spesa, ha suggerito l’accorpamento e nell’ultima legge di stabilità il governo Letta ha previsto “misure volte all’unificazione” dei due archivi.

Il provvedimento, ampiamente pubblicizzato dall’esecutivo Renzi, avrebbe portato a un risparmio per lo Stato di 60 milioni l’anno. E che l’intenzione fosse di abolire il Pra non ci sono dubbi. L’articolo 14 della bozza del decreto (“Registrazione della proprietà dei veicoli”) recitava: “Il personale dell’Aci, già adibito al funzionamento del Pubblico registro automobilistico, è trasferito nei ruoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”. E poco oltre, al comma 6: “Nella carta di circolazione sono annotati anche i dati relativi alla proprietà dei veicoli”. Di fatto la fine del Pra. Ma anche dell’Aci, che ricava gran parte delle proprie entrate da questa attività e nell’ultimo bilancio era in rosso di quasi 30 milioni.

QUESTIONE DI ORE
A rischio sopravvivenza, l’Automobile club d’Italia in pochi giorni smuove tutto il potere di cui è capace. Martedì 15 aprile, quando la bozza circola da giorni, l’Aci manda una contro-proposta al ministero, opposta alla riforma del governo: va bene la fusione ma siamo noi che assorbiamo la Motorizzazione, non viceversa. La mattina seguente il presidente Angelo Sticchi Damiani incontra il viceministro Nencini, al quale da alcuni giorni è stato affidato il dossier, e in un teso faccia a faccia smonta gli assunti del governo: l’Aci non grava sul bilancio dello Stato perché non percepisce fondi pubblici e la riforma travalica quanto previsto dalla legge di stabilità. Insomma, “l’Aci viene ‘espropriato’ di circa 190 milioni l’anno senza che nessuna norma lo preveda”, come si legge in un documento riservato.

In quelle stesse ore viene diffusa una nuova bozza del decreto, che contiene ancora l’abolizione del Pra. Per tutta la giornata di giovedì 17 aprile il lavorio continua: il Consiglio dei ministri è convocato per venerdì alle 15,30 e occorre agire in fretta. Dopo ore frenetiche,alle sette di sera un comunicato dell’Aci sancisce la vittoria . Nessuna menzione dell’incontro “segreto” con Nencini ma solo le proposte di riforma. Indirettamente è il segno della retromarcia dell’esecutivo. Non a caso alla fine il contestato articolo 14 sparisce dal decreto, sebbene avesse già la “bollinatura” del ministero dell’Economia e della Ragioneria generale. Miracolo. Un miracolo che solo un alto esponente del governo avrebbe potuto mettere in atto all’ultimo minuto.

POLTRONE E POLITICA
Per comprendere la potenza dell’Aci e il dietrofront del governo occorre dare un’occhiata ai numeri: 106 comitati provinciali, ognuno con cinque consiglieri di amministrazione, un direttore e tre revisori contabili. Totale: quasi 900 poltrone, tutte remunerate con sporadiche eccezioni. Più gli organi centrali, che vedono la presenza di un presidente (236 mila euro l’anno), tre vice (106 mila ciascuno) e il segretario generale (circa 300 mila euro). Cifre a cui aggiungere 70 dirigenti che guadagnano da 90 mila a 200 mila euro, quasi 50 mila euro annui di indennità dei componenti del Consiglio generale e altri 18 mila per quelli membri del Comitato esecutivo.

Un carrozzone che spende 130 milioni l’anno per 3 mila dipendenti e al quale la politica ha sempre guardato come a un giardino di casa piazzando accoliti, protetti e affiliati vari. A Milano, ad esempio, dove l’Aci gestisce l’autodromo di Monza con annesso Gran premio, il Pdl ha sempre fatto da padrone, tanto che nel 2010 il ministro Michela Brambilla nominò commissario straordinario il suo fidanzato Eros Maggioni , al quale si aggiunsero poi il figlio dell’allora titolare della Difesa, Geronimo La Russa (vicepresidente), e quello dell’imprenditore Bruno Ermolli, vicino a Silvio Berlusconi.

Un feudo che, grazie a 1 milione di iscritti, ha anche un certo peso elettorale. Circostanza alla quale nemmeno il ministro Lupi sarebbe stato insensibile. L’esponente di Nuovo centrodestra è infatti candidato alle europee del 25 maggio per fare da traino alla lista e andare allo scontro con l’Aci non lo avrebbe certo aiutato nella sua Milano dove, sparito il Pdl, l’endorsement rischia di andare ai redivivi forzisti o a Fratelli d’Italia (La Russa jr. è in corsa per il nuovo cda).

Anche per questo, assicurano i bene informati, il ministro si sarebbe speso in prima persona per “sfilare” l’abolizione del Pra dal decreto. Per rimandare ogni decisione a dopo gli incontri con l’Aci e i sindacati, previsti nelle prossime settimane. O magari solo far passare il voto fatidico del 25 maggio.

di Paolo Fantauzzi
espresso.repubblica.it/

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