Per salvare dall’oblio piante spontanee, ortaggi, e alberi da frutto che hanno segnato la storia dell’umanità, si sono moltiplicate in tutto il mondo le banche dei semi. Vere e proprie anagrafi della natura, biblioteche immense in cui vengono custodite varietà particolari di tutto il pianeta.
Nel 2005, in un laboratorio del Neghev, i ricercatori israeliani sono riusciti a far germogliare un seme di palma da dattero vecchio di 2mila anni. Ritrovato quattro decenni prima negli scavi sull’altopiano di Masada, il seme della piantina rinominata “Matusalemme” si è conservato grazie a una serie di coincidenze fortunate, prima tra tutte il clima caldo e secco. Ma se casi del genere sono rarissimi, per salvare dall’oblio piante spontanee, ortaggi, e alberi da frutto che hanno segnato la storia dell’umanità e rappresentano oggi un patrimonio prezioso, nell’ultimo mezzo secolo si sono moltiplicate in tutto il mondo le banche dei semi. Vere e proprie anagrafi della natura, biblioteche immense in cui vengono custodite varietà particolari di tutto il pianeta.
Oggi queste casseforti del patrimonio naturale sono in tutto circa 1.700. La prima è nata a San Pietroburgo nel 1926 e oggi possiede la più grande collezione di antiche varietà europee di piante coltivate, che nei prossimi anni potrebbero tornare nei campi perché capaci di resistere meglio a cambiamenti climatici, parassiti e siccità.
In Italia, le banche del germoplasma sono in tutto una ventina, nate per la maggior parte negli ultimi vent’anni. Da Cagliari a Trento, da Catania a Padova, selezionano e congelano i semi di varietà vegetali in via di estinzione, assicurando loro una vita lunga diverse decine di anni, a volte secoli. Una delle più attive è la Banca dei semi della Lombardia, nata nel 2005 dalla collaborazione tra università di Pavia e Regione. Una cassaforte dove parchi naturali, aziende agricole e associazioni portano i semi delle varietà antiche, per affidarli alle cure dei ricercatori. Qui, vengono puliti dai detriti, essiccati in una camera con temperatura e umidità costanti e infine congelati. «Raccogliamo sia le piante comuni, sia soprattutto quelle rare, con particolare attenzione a quelle endemiche dell’ambiente prealpino tipico dei laghi lombardi. Oggi abbiamo semi di circa mille specie: un terzo della flora lombarda è al sicuro», spiega Graziano Rossi, docente di Botanica nell’ateneo pavese e responsabile della struttura.
Ma la conservazione non è fine a sé stessa: «Siamo la base di una filiera che promuove l’utilizzo di piante autoctone per il florovivaismo, il verde urbano, la fitodepurazione». Grazie a due progetti finanziati dalla Regione attraverso il Piano di sviluppo rurale, espressione locale della Politica agricola comunitaria, una trentina di aziende ha introdotto accanto a orchidee e tronchetti della felicità anche campanule e fiordalisi. «I vivai sono in crisi: la scelta di nuove produzioni può rappresentare per molti una boccata d’ossigeno, anche perché si tratta di piante più resistenti. Al contrario di quelle tropicali, non hanno bisogno di serre riscaldate o di molti prodotti fitosanitari». Ma il settore che sta crescendo di più è quello della fitodepurazione: «Per questo utilizzo i vivaisti lombardi producono tife, cannucce di palude, iris dal fiore giallo. Piante che prima dovevano essere comprate in Svizzera».
E proprio da Oltralpe arriva un altro esempio di banca dei semi decisa a non ridursi a una mera biblioteca. La fondazione ProSpecieRara ha iniziato a raccogliere e catalogare semi, ma anche a proteggere specie animali, nel lontano 1982. «Tutto è iniziato quando ci siamo resi conto che la mucca friburghese si era estinta senza che nessuno se ne fosse accorto», spiega Sabine Lanfranchi, che lavora nella sede del Canton Ticino. Da allora, sono state recuperate più di mille varietà di mele e pere, 400 varietà di bacche e parecchie migliaia di tipi diversi di ortaggi, tornati a popolare campi e giardini. Un lavoro portato avanti insieme alla sensibilizzazione dei cittadini, tanto che «lavoriamo soprattutto sulle segnalazioni. Le persone oggi quando capiscono di avere una specie rara ce ne mandano un campione, perché sanno che è preziosa». Ma salvare i semi, chiarisce Sabine, non è solo un fatto di conservazione: «Alla fine diventa un discorso politico. Quello che vogliamo dire alle persone è: “Non mettete tutto in mano alle multinazionali, che controllando i semi possono decidere chi mangia e chi non mangia”». E, in caso di risposta affermativa, cosa.
di Veronica Ulivieri
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