I genitori sanno che si deve essere uniti davanti ai figli. La madre castiga? Il figlio fa capricci? Il papà conferma il castigo. Quando il figlio dormirà, cercheranno un accordo. Se invece uno dei due lo proteggerà, vanificando rimproveri e castighi, il bambino crescerà senza educazione e sicuro dell’impunità. Le sue ribellioni saranno sempre più gravi. Da adulto sarà una persona insofferente delle regole, prepotente e aggressivo. Questa banale riflessione, trasportata a livello istituzionale, consente analogie illuminanti.
Succede che i cittadini continueranno a violare le leggi, tanto sanno che uno dei genitori, qualsiasi cosa facciano, li proteggerà sempre. Tutto questo sta avvenendo con l’Ilva. Dopo anni di omicidi impuniti, i giudici l’hanno sequestrata con divieto di continuare l’attività. L’Ilva ha disobbedito e ha prodotto una certa quantità di acciaio, perseverando nell’inquinamento ambientale, causa degli omicidi. I giudici hanno sequestrato l’acciaio prodotto perché provento di reato. I proprietari dell’Ilva si sono molto arrabbiati e hanno annunciato che chiuderanno l’azienda, mettendo sul lastrico circa 20 mila persone. Il ministro Clini è intervenuto e ha spiegato che “già giovedì il governo interverrà con un provvedimento che consenta di superare questa situazione, coniugando lavoro e salute con una soluzione ad hoc”.
Come tutti sanno benissimo la cosa è impossibile. L’Ilva, se produce, inquina e ammazza. Perché non ammazzi occorre un risanamento che richiede anni di lavoro e molte centinaia di milioni di euro. Ammesso che i soldi siano disponibili (il che non è), non si può comunque produrre fino a che il risanamento non è completato: se lo si fa prima si ammazza. Quindi, dire che esiste una soluzione è una bugia. Quello che Clini vuole fare, in realtà, è permettere all’Ilva di produrre in cambio della disponibilità a risanare.
E anche se tale disponibilità ci fosse (ma non c’è, la proprietà ha promesso e mentito per anni), un provvedimento del genere significherebbe legalizzare gli omicidi che si verificherebbero tra la ripresa della produzione e l’avvenuto risanamento. Clini questa cosa la sa benissimo; ed è per questo che, fino ad ora, una legge che dica sostanzialmente: “L’Ilva può produrre anche se la magistratura dice di no” non ha avuto il coraggio di farla. Ma, siccome è furbo, ha fatto in modo di far capire all’Ilva che lui è il genitore buono e che la magistratura è quello cattivo: piangi e protesta e io cercherò di aiutarti.
E perché questa cosa sia creduta non solo dall’Ilva, ma anche dai cittadini, va in giro a raccontare che il provvedimento della magistratura di Taranto “è in conflitto con l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che è legge, che la strada maestra è applicarla e che, altrimenti, prenderemo provvedimenti”. In conflitto perché? In fondo l’Aia è solo un insieme di prescrizioni che, da sole, non eliminano l’inquinamento e non impediscono gli ammazzamenti. Si applichi e, quando le sue prescrizioni saranno osservate (tutte, nessuna esclusa), allora si potrà riprendere l’attività. Ma Clini dice che il provvedimento della Procura di Taranto “rende molto difficile l’applicazione dell’Aia, dell’unica norma che consente il risanamento ambientale”.
Lo dice ma non spiega perché. Però è molto puntiglioso: “Il compito di stabilire le procedure, le norme tecniche e le prescrizioni per rispettare l’ambiente e per proteggere la salute è delle amministrazioni competenti, in questo caso del Ministero dell’Ambiente”. Insomma la magistratura non rompa le scatole, stabilendo “norme quasi (?) in concorrenza con quelle delle amministrazioni competenti”.
La proprietà, ben lieta di avere un papà così buono e fiducioso (promettete e noi vi faremo riprendere l’attività), aspetta di vedere come va a finire. Potrebbero intervenire i nonni, saggi e giusti. Ma il presidente della Repubblica, agitando la mano, ha detto: “La situazione è troppo complicata per mandare messaggi”.
Il Fatto Quotidiano, 28 Novembre 2012