Mille ettari di antimafia, 10 milioni di metri quadrati etici, una superficie pari a 1.400 campi da calcio. Per il vino, ma non solo. Dalla Sicilia al Piemonte, vigneti, piantagioni e terreni talvolta incolti sottratti ai corleonesi, ai casalesi, agli ‘ndranghetisti, ai neo colonizzatori criminali del Nord. E affidati ai ragazzi di Libera Terra.
Un decennio dopo la nascita, l’idea «agricola» di don Luigi Ciotti, la guida di Libera, è diventata più grande e forte, nonostante attentati, minacce, incendi. Con la convinzione che non basta togliere i campi ai boss e gestire le loro aziende; serve una nuova etica della terra per ridare la dignità perduta a queste aree del Paese. Quindi coltivazioni biologiche, naturali, rispettose dell’ambiente e scelta di piante legate alla tradizione locale. Questa presa di coscienza (che don Ciotti descrive come la «ricerca dell’autenticamente umano, della responsabilità anzi della corresponsabilità degli uni verso gli altri, il prendersi cura delle persone, ma anche del rispetto di quello che ci circonda») è valsa a Libera Terra e al sacerdote che la conduce il Premio Francesco Arrigoni, consegnato stamattina al monastero di San Pietro in Lamosa di Provaglio (Brescia). Un riconoscimento deciso dal neonato comitato in memoria del giornalista enogastronomico, rigoroso e colto, collaboratore del Corriere della Sera, morto due estati fa a 51 anni. A presiedere il comitato c’è la vedova, Antonella Colleoni, affiancata da un gruppo di amici tra i quali il giornalista Gianni Mura. La carica etica che Francesco (direttore del seminario Veronelli e firma del Gambero rosso prima di diventare l’animatore sul Corriere delle pagine dedicate alle «Vie del gusto») trasmetteva con i suoi articoli è ora l’essenza del Premio, destinato «a chi nel campo dell’enogastronomia abbia progettato e/o realizzato un’azione dal forte contenuto etico».
Libera Terra è l’esempio più avanzato in Italia di agricoltura sociale. È formata da un gruppo di cooperative, presenti soprattutto al Sud, che dà occupazione a 160 persone, più di un terzo delle quali assunte dalle categorie dei lavoratori «svantaggiati». È nel vino che Libera Terra ha raccolto i maggiori successi, con le coop di Centopassi (dal titolo del film di Marco Tullio Giordana sulla vita di Peppino Impastato) nell’Alto Belice Corleonese e Hisotelaray nel Salento. Dalla Sicilia arrivano vini intensi e veri come il Catarratto Terre rosse, dedicato al dirigente comunista Pio La Torre che ideò la legge sui beni confiscati, e il Grillo Rocce di Pietra Longa in memoria di Nicola Azoti, sindacalista ucciso. Freschi e autentici sono i pugliesi: i Negramaro Renata Fonte e Filari di Sant’Antoni, il Primitivo Antò (per Antonio Montinaro, originario del paesino leccese di Calimera, morto scortando il giudice Giovanni Falcone), sorprendente il rosato Alberelli de la Santa.
«La nostra idea fissa è la ricerca dell’eccellenza», spiega Francesco Galante, responsabile della Centopassi. Dalle cantine escono ogni anno 500 mila bottiglie, vendute in Europa e anche negli Stati Uniti e in Giappone. «Abbiamo scelto i vitigni tradizionali. Abbiamo il dovere di agire per la qualità nelle zone che lo Stato ha confiscato e ci ha affidato. I vini sono dedicati a vittime della mafia, i loro familiari sono accanto a noi, ci seguono non solo durante la Giornata della memoria. Per noi è un dovere quotidiano richiamare l’attenzione sull’impegno contro i boss».
È per questo impegno, come ha scritto il mese scorso Nando Della Chiesa, che «Libera è diventata il vero luogo del Paese in cui i deboli e le vittime cercano giustizia e provano a sconfiggere le proprie solitudini. Sono loro che senza volerlo ripetono agli orbi quel che Neruda rispose in poesia quando gli chiesero perché non parlasse delle nevi e dei vulcani del suo Paese natale: “venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade”».
Libera Terra non è solo vino: è olio, pasta, mozzarella di bufala, legumi, marmellate, è l’agriturismo in uno dei luoghi simbolo della storia della Sicilia, Portella della Ginestra (dove avvenne la strage del primo maggio 1947), è una coop neonata in Calabria. Mille rivoli, come il pranzo di nozze solo con prodotti Libera Terra di cui ha scritto Giovanni Tizian, giornalista minacciato dalla mafia, con il biglietto d’auguri arrivato da don Ciotti:
«Grazie per quello che fate e come lo fate, perché abbiamo bisogno — come diceva Gesù — di frutti intesi come opere. Abbiamo bisogno — come diceva Gandhi — di gesti e non tanto (o non solo) di discorsi».
Gesti autentici, come coltivare mille ettari antimafia.
di Luciano Ferraro
Fonte: Corriere della Sera