Il capo dello Stato, sempre meno arbitro e sempre più monarca assoluto, convoca un vertice di maggioranza al Quirinale per discutere una norma di competenza del Parlamento. L’ipotesi prevede un ritorno al proporzionale, ma manca ancora l’accordo tra Pd e Pdl su parti importanti, dal possibile secondo turno al voto di preferenza.
Dal Porcellum al “pillolato”. E’ uno schema di massima, messo a punto al Senato incommissione Affari costituzionali da Pd e Pdl, che fissa- nero su bianco- i punti e le “questioni aperte” per una possibile riforma della legge elettorale. Si tratta, è bene dirlo subito, di un sistema nettamente proporzionale, che è stato al centro dell’incontro-vertice tra il Quirinale e alcuni rappresentanti del governo impegnati direttamente sulle riforme (ossia i ministri Dario Franceschini e Gaetano Quagliariello, nonché la capigruppo di maggioranza al Senato e il Presidente della Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato della Repubblica, Anna Finocchiaro). Un evento che ha scatenato l’ira della Lega e la preoccupazione, profonda, deirenziani del Pd e dei falchi del Pdl.
La delegazione è infatti salita al Colle il giorno dopo le critiche espresse dal sindaco di Firenze sull’ipotesi che si arrivasse a modificare l’attuale legge elettorale attraverso un sistema proporzionale che costringerebbe, visto il panorama politico, alla larghe intese “forzate” anche dopo la riforma. Una sorta di ritorno alla prima Repubblica che, in realtà, nessuno auspica. Tranne, sembra, proprio Napolitano e i neocentristi, convinti che solo le “larghe intese perenni” possano far uscire il Paese dalla crisi e portare verso le attese riforme del sistema.
“Re Giorgio” oggi si è voluto sincerare di persona dello “stato dell’arte” sulla riforma del Porcellumche il 3 dicembre la Corte Costituzionale potrebbe dichiarare parzialmente illegittimo, costringendo così il Parlamento a muoversi in fretta per non lasciare il Paese senza una legge elettorale. Insomma, ancora una volta, il Capo dello Stato ha “dimenticato” le sue prerogative di “arbitro”, vestendo i panni di un novello monarca assoluto che “battezza” lo schema di una legge che dovrebbe essere di stretta “osservanza” parlamentare (ma evidentemente non lo è) con un governo che invece di stare all’esterno della partita, mette i piedi nel piatto e si fa “messaggero” e persino “padrino” dell’iniziativa. Non era mai successo, ma succederà ancora, d’ora in poi.
Intanto, in commissione Affari Costituzionali c’è, appunto, questo ‘pillolato’, uno schema ben lontano da quel sistema di doppio turno di coalizione, il famoso ‘ispanico‘, che tanto piace a Renzi e ai bipolaristi convinti, ma non al Colle. Scorrendolo, balzano agli occhi, immediatamente, i nodi ancora da sciogliere che non sono di poco conto. Pd e Pdl restano infatti lontani su “il metodo calcolo per l’attribuzione dei seggi”, sul “caso di mancata attribuzione del premio” di maggioranzae sulla “scelta degli eletti collegi plurinominali”. Nel ‘pillolato’ il premio di maggioranza che si attribuisce alla Camera (è uno dei punti condivisi) prevede “340 seggi alla lista o di liste circoscrizionali con il medesimo contrassegno che ottiene almeno il 40% dei voti a livello nazionale”. In caso di mancata attribuzione, il Pd (relatrice Loris Lo Moro), propone un secondo turno “di votazioni in contesa tra le due liste o coalizioni che hanno ottenuto il maggior numero di voti”.
Il Pdl (relatore Donato Bruno), invece, non vuole il secondo turno e propone “un incremento di seggi alla lista o coalizione che ha ottenuto, con la maggioranza dei voti, almeno il 35% dei suffragi“. Altro nodo aperto è quello sulla scelta degli eletti. I punti condivisi, per la Camera, prevedono il 20% dei seggi attribuiti “con metodo proporzionale, senza voto di preferenza, su liste circoscrizionali, con alternanza di genere, nelle 26 circoscrizioni attuali”. Il restante 80% sempre con proporzionale “su base circoscrizionale, su liste di candidati in collegi plurinominali collegate reciprocamente con liste circoscrizionali”. Il Pdl chiede che i candidati siano eletti “secondo l’ordine di lista”. Il Pd, invece, “in base ai voti di preferenza”.
Per quanto riguarda il Senato, poi, ogni regione (salvo la Valle d’Aosta, il Molise e il Trentino Alto Adige) sarà suddivisa in colleghi plurinominali, ma al di là dei dettagli, è indubbio che se si arrivasse all’approvazione di una legge sul questo schema di base, il bipolarismo sarebbe archiviato del tutto. E questo sembra l’intenzione primaria, almeno a quanto sostengono anche i relatori: “Sono rimaste anche alcune questioni aperte come quella relativa alla governabilità – ha spiegato la dem Doris Lo Moro – se nessuno raggiunge la maggioranza richiesta per l’attribuzione del premio si sono profilate due possibilità, da un lato il secondo turno, dall’altro un incremento di seggi alla lista che abbia almeno il 35% dei suffragi, ma ce la faremo a trovare una quadra”.
Se mai questo “pillolato” (salutato dal Pd Giachetti, che sta facendo lo sciopero della fame per la riforma, con un “habemus pillolatum” pieno di giubilo) arriverà ad avere dignità di legge, si tornerà indietro di vent’anni, quando nella Prima Repubblica si riusciva a ricattare il governo anche con meno del 10% raccolto nelle urne, ma tutti partecipavano, serenamente, al banchetto del potere. Nella frammentazione di quasi tutti i partiti a cui si sta assistendo, questo schema sembra fatto apposta per non lasciare nessuno per strada.
di Sara Nicoli
Il Fatto Quotidiano 24.10.2013