di Marco Travaglio
Primo comandamento della nuova Monarchia del Napolitanistan: “Non nominare il nome di Napolitano invano, anzi non nominarlo proprio”. L’ha dettato ieri Sua Eccellenza Piero Grasso, il garrulo presidente del Senato, probabilmente in preda ai postumi di un’overdose da caponatina, zittendo il capogruppo di 5Stelle Nicola Morra che aveva osato l’inosabile con questa frase temeraria: “Ieri è intervenuto nel dibattito politico chi sta sul Colle…”. Alla parola “Colle” il solitamente sonnacchioso, ma sempre ridanciano Grasso è scattato come la rana di Galvani: “Non sono ammessi riferimenti al capo dello Stato, lasciamolo fuori da quest’aula”. E quello, recidivo: “Il nostro presidente della Repubblica”. Ma l’Eccellenza è tornato a monitarlo: “L’ho invitata a lasciarlo fuori. Lei non può citarlo”. Chissà in quale incunabolo il Grasso Ridens ha trovato il divieto di citare il Presidente della Repubblica nell’aula del Parlamento che l’ha eletto: forse negli stessi testi sacri, più misteriosi dei manoscritti di Qumran, che il Presidente consulta prima di dare ordini a governo, Parlamento, partiti, stampa e magistrati. Il guaio è che poco prima il capo dello Stato era stato citato dal presunto premier Letta per fare da scudo al cosiddetto vicepremier Alfano, detto anche l’Estraneo o l’Insaputo perché non sa neppure dov’è Viminale e in attesa che lo scopra il suo ufficio è occupato da diplomatici e funzionari kazaki che ordinano sequestri di donne e bambine. Ma curiosamente, quando il Nipote ha citato il Presidente, Grasso è rimasto dolcemente assopito sullo scranno dorato, con aria beata. Dal che si deduce che il I Comandamento vale solo quando si cita Napolitano per criticarlo: nominarlo per leccarlo si può, anzi si deve. Un po’ come nella tradizione ebraica, che considera la divinità talmente sacra da essere impronunciabile. Di qui il tetragramma YHVH, innominabile se non nella versione Adonai, peraltro riservata alle preghiere. Ricapitolando: oltreché divino, dunque infallibile, incriticabile, inindagabile, imperseguibile, impunibile, inarrestabile e inintercettabile, anzi diciamo pure inascoltabile anche se parla con un inquisito, Re Giorgio è anche ineffabile. Qualora lo si volesse invocare, purché con la dovuta devozione, il capo coperto o almeno velato, si dovranno usare le consonanti del pentagramma tratto dal codice fiscale: NPLTN.
Egli poi effonde le sue taumaturgiche virtù soprannaturali su chi gode della sua sacra protezione rendendolo, per balsamico contagio, egli stesso insindacabile. Per esempio NRC LTT e NGLN LFN. Inutile proporre mozioni di sfiducia o azzardare critiche: santi subito. Alle disposizioni della nuova teocrazia si erano già attenuti nei loro editoriali di ieri Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica , e Claudio Sardo, affondatore dell’Unità. Essendo critici col vicepremier LFN al punto da ipotizzarne financo le dimissioni, avrebbero dovuto criticare anche NPLTN che le aveva escluse nel Supermonito del Ventaglio, bevendosi le balle di LFN, elogiando il governo LTT per il suo proverbiale “spirito d’iniziativa” e incolpando per l’affare kazako i kazaki. Invece si sono portati avanti col lavoro e NPLTN non l’hanno neppure nominato. Come se non avesse mai parlato.
Resta da capire se la curiosa omissione si debba a una loro iniziativa congiunta di autocensura, o a una mossa precauzionale delle rispettive redazioni. Le quali, temendo che i due partissero in quarta contro il Presidente con effetti destabilizzanti sui mercati internazionali, potrebbero aver chiuso il Fondatore e l’Affondatore in una camera iperbarica, privandoli di tutti i canali di approvvigionamento informativo: niente tv, niente web, niente agenzie. E lasciandoli ignari del Supermonito del Ventaglio. Se le cose stessero così, sarebbe auspicabile un nuovo blitz congiunto italo-kazako per liberarli. L’Onu dica qualcosa: Scalfari e Sardo devono sapere.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 20.07.2013