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Storie d’Italia – La mafia e le pecore di Emanuele

Emanuele FeltriUn ragazzo che ha fatto della propria attività in campagna una sfida quotidiana contro Cosa Nostra. Domenica, tornando al suo allevamento, ha trovato gli animali uccisi. E una testa di pecora all’ingresso di casa. Succede in Italia, nel 2013.

Quattro agnelli uccisi. Uno di loro sgozzato, la testa appoggiata davanti alla porta di casa. E’ la scena che si è trovato davanti Emanuele Feltri, 34 anni, contadino per scelta a Paternò, in provincia di Catania, tornando dalla città domenica in serata: «Pesantissimo! Sembra un film di mafia degli anni 50 ma è successo davvero a casa mia!», si sfoga lui su Facebook con un post scritto alle undici di sera: «Non posso dire altro e credo di essermi esposto abbastanza per difendere una vallata che la volontà comune vuole “terra di nessuno”!». La vallata è quella del fiume Simeto, il più importante corso d’acqua siciliano, minacciato in tutto il suo percorso dalle discariche abusive: «Se ne conta praticamente una ogni 100 metri», racconta Luigi Puglisi, presidente dell’associazione “ViviSimeto”: «C’è di tutto: materassi, frigoriferi, spazzatura. Siamo riusciti a far chiudere alle macchine una strada all’interno dell’oasi del fiume, giusto una settimana fa, e fare una raccolta. Ma rimangono ancora tantissimi rifiuti, ovunque».E’ proprio per via della sua attenzione all’ambiente che Feltri avrebbe ricevuto l’intimidazione orrenda con cui si è trovato a fare i conti domenica: «Mi ha colpito molto questa cosa, non lo nascondo e ho deciso comunque di rimanere a vivere qui anche se in questo momento sono solo», scrive sulla sua bacheca: «Arriverete un giorno lo so, io intanto continuo il mio lavoro quotidiano sognando una vallata pulita, piena di vita e di speranza. Presto organizzeremo una nuova domenica di bonifica dell’oasi».

All’inizio non voleva nemmeno portare alle forze dell’ordine la minaccia subita («Non ho ancora denunciato e non so se lo farò visto che sarebbe solo l’ennesima denuncia che cadrebbe nel dimenticatoio», ha scritto poche ore dopo il primo messaggio), ma alla fine l’ha fatto. E anche se non ci sono elementi di riscontro (né foto né i corpi degli animali, bruciati subito dal giovane), per i carabinieri la scena descritta è verosimile. Anche perché frequente: «Episodi di questo tipo non sono rari nel nostro territorio», spiega il comandante dei Carabinieri di Paternò, Lorenzo Provenzano: «In paese chi è vittima di un’intimidazione, come le molotov lasciate davanti alla saracinesca, viene a denunciare, anche perché ci sono le telecamere e si sente in qualche modo obbligato. Ma in campagna il numero di gesti di questo tipo è sicuramente più elevato. Eppure pochissimi lo fanno sapere».

Paura, distanza dalle istituzioni, l’idea che «qui i problemi la gente li risolve così», come commenta il capitano. La banalità della mafia, insomma. Rendere impossibile la vita a chi “disturba”. Sgozzare gli agnelli di un ragazzo solo perché è impegnato a favore dell’ambiente. Uccidere le sue bestie perché è “scomodo”. «L’intimidazione è palese», commenta il presidente di “ViviSimento”: «Anche noi siamo rimasti scioccati da quello che è successo. Non possiamo accettare la prevaricazione nei confronti di chi, come Emanuele, si è trasferito apposta nella nostra zona per amore del territorio». Feltri preferisce non parlare, per ora, ma ha affidato alla rete il suo messaggio: «Sciddicuni – la frazione in cui si trova la sua fattoria – esiste e resiste», scrive, «Per ricordare che non bisogna essere super eroi per portare avanti i propri ideali, per testimoniare che a volte il coraggio sta proprio nel condurre la propria vita quotidiana con coerenza e senza compromessi».

di Francesca Sironi
espresso.repubblica.it

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