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In 50 anni cementificate due regioni Sullo stop è scontro in Parlamento

Stop al cemento Non c’è più tempo, non c’è più lo spazio. Ogni quattro secondi – il tempo di terminare questa frase – 32 metri quadri di suolo vengono coperti dal cemento che viaggia ormai alla velocità media di quasi 90 ettari al giorno. Ogni cinque mesi divora una superficie grande come la città di Napoli, in cinquant’anni ha ricoperto un’area come il Trentino e il Friuli messi insieme e di questo passo, tempo vent’anni, avremo cementificato pure la Basilicata.

 

Dati e previsioni della pubblicazione più completa mai realizzata in Italia sul consumo di suolo e sulla rigenerazione del territorio che il WWF ha presentato insieme alla sua proposta di legge per “fermare la rapina del territorio” proprio mentre in Parlamento partiva una delicata discussione sullo stop al cemento. L’indagine è condotta dall’Università dell’Aquila e si basa sul confronto tra estratti originali delle cartografie storiche del secondo Dopoguerra e le carte regionali digitali d’uso del suolo. Monitora 13 regioni, il 58% del territorio nazionale, quindi è significativa dell’andamento generale dell’urbanizzazione: “Il tasso medio – spiega Bernardino Romano, professore di Pianificazione territoriale e curatore della ricerca – è passato dall’1,9% degli anni 50 al 7,5. La media pro capite è triplicata ai quasi 380 m2/ab. Il che porta a stimare oggi l’ammontare delle aree urbanizzate sui 2,5 milioni di ettari”.

 

Il paradosso è che altro cemento proprio non serve. Secondo Adriano Paolella, direttore generale di WWF Italia ci sono 210mila capannoni inutilizzati, 6.700 chilometri di ferrovie dismesse, 5 milioni di abitazioni vuote. A fronte di questa situazione è ormai maturata nel Paese una domanda sociale, diffusa e organizzata, che aspira ad una riqualificazione degli insediamenti urbani e del territorio. Il WWF l’ha colta con la campagna “Riutilizziamo l’Italia” che in cinque mesi ha prodotto 575 schede di segnalazione di ambiti di patrimonio inutilizzato e altrettante proposte di riuso. Il censimento può essere “il primo contributo per avviare un grande processo di recupero del territorio italiano dopo quello dei centri storici nel Dopoguerra”. Sempre che arrivino le risposte politico-normative che si cercano in Parlamento.

Perché se lo spirito del tempo è cambiato, questa sensibilità nuova chiama in causa la politica. In Parlamento, nel giro di poche settimane, si sono materializzate 11 proposte di legge sul consumo di suolo accompagnate da furibonde polemiche. Le iniziative corrono su un binario parallelo. Sul fronte parlamentare si è aperto un caso intorno alla proposta “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana”, primo firmatario Ermete Realacci (PD), che ammette la possibilità di consumare nuovo suolo previo pagamento di un “contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana” (art. 2), l’attribuzione di quote di edificabilità e di diritti edificatori per compensare i proprietari di immobili ceduti al comune o per incentivare le trasformazioni, i recuperi e le demolizioni (art. 6). Tanti, compresa Italia Nostra , hanno preso le distanze; altri gruppi parlamentari si sono precipitati a depositare proposte alternative. Quelle di Pd, M5S e Scelta Civica hanno in comune l’eliminazione dei proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento della spesa corrente dei comuni. Sel ha fatto propria al Senato quella elaborata dal WWF che chiede l’istituzione di un registro del consumo di suolo presso l’Istat e spinge sul recupero, indicando strumenti di fiscalità urbanistica che penalizzano chi spreca suolo e premiano chi riusa. Poco o nulla si sa, invece, di quella del Pdl. Intanto a muoversi è stato il governo che lo scorso 15 giugno ha approvato una versione rivisitata del Ddl dell’ex ministro Mario Catania, presentato alla fine della scorsa legislatura. Il testo mantiene il focus sulla tutela dei terreni agricoli ma fa riferimento anche al paesaggio. Salutato da tanti come un interessante passo avanti su cui avviare la discussione, definisce il suolo “bene comune” e “risorsa non rinnovabile” (art. 1) e ascrive a riuso e rigenerazione il primato in materia di governo del territorio (art. 2). Due principi che vanno al cuore del problema. Sempre che le contrapposizioni tra paladini del verde (sinceri e non) non blocchino tutto, lasciando ancora e sempre il suolo contro tutti.

di Thomas Mackinson
Il Fatto Quotidiano 24.06.2013

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