PROTESTA CONTRO LE RICHIESTE DELLA SARAS CHE CERCA IL METANO DOPO LO STOP AL GASDOTTO TRA L’ISOLA E L’ALGERIA.
Ci ha messo la faccia Giuseppe Citterio, direttore pianificazione e sviluppo Saras. Spiegando perché è importante per l’isola (e per Saras) scoprire se il metano c’è davvero e, dopo la conferma, tirarlo fuori per abbattere i costi energetici. Ma questo lo sapevano già tutti i presenti, che hanno studiato passo dopo passo il progetto, dal via libera della Regione per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi rilasciato il 18 dicembre 2009. Saras sembra sicura: il metano c’è, manca solo la conferma di una trivella che scenda ai diversi livelli in cui si può trovare, giù fino a 2800 metri di profondità. Giulio Casula, il geologo della Saras, padre del Progetto Eleonora, si dice sicuro anche che è praticamente puro, senza zolfo. Chiede sei mesi: due per il cantiere, 40 giorni per perforare e fare la prova di produzione, il resto per smantellare e ripristinare il prato, “che tornerà come prima”. Infine Alenia Meloni, responsabile dello studio di impatto ambientale, illustra il lavoro suo e dei suoi collaboratori accademici, secondo il quale l’impatto è praticamente nullo, i rischi quasi inesistenti. Almeno per quanto riguarda questa fase. “Poi, se il metano c’è davvero, serviranno altri permessi, altre valutazioni d’impatto ambientale”, cerca di tranquillizzare la sala, che rischia continuamente di esplodere. Il Progetto Eleonora è più forte dopo l’annuncio che è slittato di un altro anno il via al gasdotto Galsi, che avrebbe dovuto portare il metano dall’Algeria in Sardegna, unica regione italiana che non ce l’ha. Nei fatti è cancellato: Sonatrach – la società petrolifera del governo algerino, socio di maggioranza di Galsi con il 41 per cento, insieme con Edison, Enel, Hera e Sfirs, la finanziaria della Regione – dopo lo scandalo tangenti che ha coinvolto i suoi vertici con quelli di Eni, ha annunciato martedì scorso che il calo dei consumi energetici dovuto alla crisi costringe a un ripensamento di tutta la strategia. AD ARBOREA LO SANNO, ma non è questo il punto. Il metano non interessa. Contro Saras parlano tutti, dal presidente della commissione ambiente della Provincia ai sindaci dei Comuni della zona: sono sei i consigli comunali che hanno bocciato all’unanimità il progetto. E parlano gli esperti del comitato per il no. Il loro portavoce Paolo Piras deve spesso prendere il microfono per calmare la platea e ricondurre il dibattito alla sua funzione principale: illustrare le critiche allo studio di impatto presentato da Saras. Poi la Regione darà il responso.L’opposizione è radicale: le donne e gli uomini che hanno riempito la sala, come hanno fatto nei mesi scorsi con le piazze, non vogliono mettere a rischio le loro certezze, un lavoro sicuro per un futuro incerto. Oggi ad Arborea ci sono aziende agricole che funzionano. Da ottant’anni, dalle bonifiche fasciste, questa è la vocazione di un territorio che è riuscito ad affrontare anche questi duri anni di crisi. Dicono che bisogna investire sull’industria di trasformazione. Non vogliono lasciare una certezza e una ipotesi di ulteriore sviluppo agricolo per qualcosa che potrebbe danneggiare l’ambiente e le persone. O quantomeno l’immagine dei loro prodotti. Qualcuno cita gli studi sulla zona di Sarroch, vicino a Cagliari, dove la Saras ha la sua raffineria sarda: ci sarebbe un alto numero di bambini il cui patrimonio genetico è stato danneggiato dall’inquinamento della fabbrica. Non c’entra niente con il metano, ma serve a ribadire: di questi signori non ci fidiamo.di Roberto Morini
Il Fatto Quotidiano 31.05.2013