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Letta: “Via i soldi ai partiti” Ma è Twitter, non il Cdm

Letta-SaccomanniDAL CONSIGLIO DEI MINISTRI SOLO L’ANNUNCIO DI PROSSIMI DECRETI E LA RAGIONERIA GENERALE DEVE ANCORA FARE I CONTI.

 Intanto una premessa: al Consiglio dei ministri di ieri l’unica cosa di rilievo che si è potuta osservare è stato il sapiente uso dei media di Enrico Letta. Rimandato per mancanza di soldi il decreto di proroga delle detrazioni fiscali su ristrutturazioni edilizie ed efficientamento energetico (“lo approveremo al prossimo Cdm”, promette Zanonato), il premier si è guadagnato le aperture di siti e tg – a due giorni dalle amministrative – annunciando via twitter che l’esecutivo aveva “trovato l’accordo sull’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti”. Si tratta cioè dell’annuncio di un disegno di legge che dovrebbe arrivare la prossima settimana. Contenuti? Parecchio vaghi al momento. Ma sarà azzerato l’intero fondo per i rimborsi elettorali (ridotto a circa 90 milioni annui)? Per alcuni ministri sì, per altri non del tutto. Insomma, è un po’ come per l’Imu: è sospesa, ma ancora non si sa se, e per chi, verrà cancellata. Tornando ai soldi dei partiti, fonti di governo sostengono che la base di discussione è il progetto del professor Pellegrino Capaldo, già presentato come ddl in Parlamento da un gruppo di deputati del Pd di rito renziano (primo firmatario: Nardella). Questi i contenuti: abrogazione di tutti finanziamenti o i rimborsi diretti nell’arco di tre anni; introduzione contestuale di un credito d’imposta al 40% sulle erogazioni liberali ai partiti (oggi è al 24%) fino ad un tetto massimo di 10 mila euro di detrazione;trasparenza su bilanci e statuti. Nel comunicato finale del governo, rispetto a questo ddl, si parla in più anche di “tracciabilità” della donazione, di forme di “sostegno non monetario al funzionamento dei partiti in termini di strutture e servizi” e di un ddl – anch’esso di là da venire – per regolamentare “l’attività delle lobbies e la rappresentanza degli interessi economici”.ORA TOCCA alla Ragioneria generale calcolare il costo dell’operazione per le casse dello Stato: con l’abrogazione totale c’è, infatti, un risparmio di 90 milioni l’anno, ma il mancato gettito dovuto all’aumento delle detrazioni ha un costo e il guadagno finale per l’erario rischia di non essere memorabile. Non che il Fondo per i rimborsi elettorali sia la terra del Bengodi: anche tagliandolo e basta non sarebbe sufficiente a finanziare nemmeno metà del decreto di proroga per sei mesi degli ecobonus nell’edilizia su cui ieri s’è incagliato il governo (dovrebbe costare circa 200 milioni e al Tesoro non hanno ancora trovato coperture certe per quest’anno né per i prossimi). Nonostante il valore economico minore, però, il finanziamento pubblico ai partiti è diventato un simbolo della battaglia alla cosiddetta “casta”, anche perché un disatteso referendum popolare l’aveva già abrogato con maggioranza bulgara nel 1993. Beppe Grillo, com’è noto, ne ha fatto un suo cavallo di battaglia e non ha gradito per niente la sortita pre-elettorale di Letta: “È un bluff”, ha sostenuto a voce; “una presa per il culo – ha scolpito il suo blog – Non servono accordi: noi abbiamo già rinunciato a 42 milioni”. La capogruppo M5S alla Camera, Roberta Lombardi, era stata più morbida prima dell’intervento del capo: “Collaboreremo”, aveva dichiarato. Poi in serata, dal palco di piazza San Giovanni, s’è un po’ riposizionata: “Vedremo, ma mi sembra solo propaganda”. Il Pdl, invece, festeggia – “un’altra promessa mantenuta” – e mette nel mirino proprio Grillo: un ddl presentato in Senato da Lucio Malan prevede che il comico sia costretto a rendere pubblici i suoi redditi come tutti i “capi e tesorieri dei soggetti politici rappresentati in Parlamento” (in realtà Grillo, proprio in quanto tesoriere del M5S, sarebbe già obbligato a farlo da una legge del 2012).

di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano

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