L’idea di Ugo Vallauri e Janet Gunter permette ai cittadini di riparare oggetti dati per rotti, specie pc e cellulari, grazie a tecnici volontari che offrono aiuto gratuito. “L’idea del riutilizzo? Viene dall’Africa ed è un’alternativa al consumismo dell’Occidente”.
Un computer rotto, il cellulare che non si accende più o la stampante che non dà segni di vita. La tecnologia avanzata del nuovo millennio è anche la prima a lasciarci in panne dopo qualche anno di vita e al riparo conviene ogni volta comprare un prodotto nuovo. Ma se questa è la tendenza diffusa, c’è chi cerca di combatterla offrendo sapere, tecnologia e capacità di riparazione ai singoli cittadini. “The Restart Project” () è la risposta di Ugo Vallauri e Janet Gunter, italiano e anglo americana residenti a Londra ed esperti di comunicazione. L’idea è il recupero di oggetti dati per finiti o rotti: si incontrano nelle biblioteche, nei centri sociali e negli spazi autogestiti e con tecnici volontari offrono riparazioni gratuite. Li chiamiano “Restart Parties” e sono occasioni di incontro tra cittadini che non ci stanno a dichiarare morta la propria tecnologia.
“Lo definiamo party – dice Vallauri, ricercatore originario del Piemonte, partito dall’Università di Bologna e arrivato alla University of London – perché sono feste, incontri tra persone che vogliono riprendersi una consapevolezza di consumatori e utilizzatori che purtroppo è andata persa”. Venticinque i tecnici volontari nel network di “The Restart Project” che ogni volta sono chiamati a rapporto: c’è chi porta gli attrezzi, chi lo stereo, chi qualcosa da mangiare e poi ci sono i clienti. “Clienti per modo di dire – continua Vallauri – perché facciamo tutto gratuitamente. Ed è una soddisfazione unica poter offrire soluzioni alternative a persone che vengono a cercarci perché a loro hanno detto che il prodotto era senza speranza”.
Ugo vive all’estero dal 2006, ma l’idea di puntare sul riutilizzo gli è arrivata dall’Africa, dove è stato per quattro anni per motivi di lavoro. Lì ha scoperto che gli oggetti hanno una vita infinita rispetto a quello che succede nel nord del mondo. E gli strumenti sono l’inventiva e la necessità di arrangiarsi. “L’ispirazione me l’ha data un tecnico di Nairobi, in Kenya, che ripara telefoni da oltre quarant’anni. Quando gli ho detto che il mio cellulare rotto in Europa lo avrei buttato, non ci voleva credere. A noi costa meno comprarne uno nuovo, ma per loro è un discorso che non ha senso”. Un consumismo ossessivo in Occidente che però comincia a non essere più sostenibile in un mondo che deve trovare alternative. “Anche la raccolta differenziata – ricorda Vallauri – spesso è un modo per scaricare le responsabilità e farci credere che se buttiamo riciclando non succede niente. Ma si tratta pur sempre di rifiuti che si accumulano e inquinano il nostro ambiente”.
La rivoluzione del riutilizzo è molto più facile di quello che sembra, basta solo volerla fare. “I manuali per la riparazione sono già online e spesso è sufficiente l’occhiata di un tecnico per trovare una soluzione. Però non tutti hanno il coraggio di aprire un computer e cercare di modificare le cose. Molti ci chiedono solo consigli o sostegno”. Come la storia di una signora che all’ultimo Restart Party è arrivata con un danno al pc stimato intorno ai 300 euro e che se n’è andata con 150 euro di riparazione cambiando un solo pezzo. “Era contentissima e noi con lei – dice Vallauri – è un modo concreto per curare quello che abbiamo e non buttarlo al primo inghippo”. E se c’è già chi pensa alcervello in fuga che crea rivoluzioni oltre confine, il ricercatore rifugge quella definizione, sottolineando le numerose iniziative simili che stanno prendendo piede anche in altri paesi europei. È nata così una mappa, che il gruppo aggiorna costantemente per raccogliere le varie iniziative in tutto il mondo, dalla California fino alla Gran Bretagna. E in Italia a prendere il testimone sonoMilano con la “PcOfficina” e Bologna con la “Ofpicina”. “La stampa italiana – conclude Vallauri – mi chiama già cervello in fuga, ma non siamo migliori degli altri. Paradossalmente qui in Inghilterra stiamo avendo molto successo, ma ad essere più interessati per ora sono paesi che vivono una pesante recessione, come Italia e Spagna”. Iniziative isolate, ma che presto potrebbero diventare necessarie in un mondo che riempie le discariche senza avere i soldi per comprare nuovi oggetti.
di Emiliano Liuzzi
Il Fatto Quotidiano 02.05.2013